Le identità plurali e la
"libertà fridomiana"
Sulla "prospettiva panoramica" dei paesaggi locale e nazionale (cf. La legge e il panorama sull'ADL del 4.12.09) consiglierei di micro-focalizzare il nostro panorama dentro una qualsiasi aula di scuola dell'obbligo. Ecco la mia proposta.
La proposta dovrebbe partire dall'iniziativa dei genitori per "pretendere" che nell'aula dei rispettivi bambini ogni singola coppia di genitori - ma anche ogni singolo genitore in quanto tale abbia il diritto (diritto-dovere) di esporre un proprio simbolo identitario culturale che può essere religioso (la Croce, la Mezzaluna, la Stella di Davide) ma anche politico, storico-nazionale, storico-figurativo (come la fisionomia di un personaggio tipo Leonardo da Vinci, Alessandro Volta, Bertrand Russell, Einstein).
L'importante è riuscire a dimostrare che la ricchezza del patrimonio culturale sta nella libertà di ciascuno, non nella chiusura dogmatica e mentale di una istituzione contrapposta all'altra! Questa generale e condivisa libertà di ciascuno è quella che io chiamo "libertà fridomiana" tanto per darle un proprio nome che la differenzi da altri tipi di libertà che "le strutture chiuse, autarchiche, dogmatiche" pretendono di far convivere con dei sistemi di legislazione puramente omologatori e necessariamente oscurantisti, totalitari, repressivi nonché "regressivi".
Mi sono spiegato? Sono convinto che per gli italiani della Confederazione Elvetica l'iniziativa diretta dei genitori e l'esperienza diretta, vissuta in prima persona dai loro bambini, sarebbe più facile che non in Italia e che, nello stesso tempo, tale esperienza sarebbe mentalmente molto educativa: questo per gli stessi figli della cultura nazionale elvetica.
Francesco Introzzi (Cuneo)
Sul tema
del possibile
"farmaco". . .
Riguardo a quello che Andrea Ermano ha scritto successivamente al (prevedibile) fallimento del vertice Fao sul problema demografico ecc. (cf. ADL, 25.11.09, Ma forse un "farmaco" ci sarebbe), sto leggendo un libro che a mio parere dovrebbe essere eletto a "lettura obbligatoria di stato" al diciottesimo anno di eta' di tutti i cittadini del mondo:
Claudio Naranjo, La civiltà, un male curabile, Franco Angeli Edizioni (Milano, 2007)
Cordialmente,
Chiara Camillo
SCHEDA
La civiltà, un
male curabile
L'attuale malessere di quella che definiamo "civiltà" ha radici - sostiene l'autore di questo libro - nella civiltà stessa, civiltà che si identifica con l'organizzazione patriarcale della società e della mente originatesi nel tardo neolitico. La "civiltà" si presenta dunque come una reazione patologica degli esseri umani a una condizione traumatica di un lontano passato e attualmente non risulta essere più funzionale.
Nell'ottica di poter giungere a un modello sociale alternativo, non più supportato da quella che egli chiama "la mente patriarcale", Naranjo propone la tesi che solamente l'educazione abbia forse il potere di capovolgere il corso della storia e operare una reale trasformazione. Sulla base di questa convinzione, egli propone un modello educativo alternativo che promuova lo sviluppo psico-spirituale dell'individuo e che lo renda capace di cooperare ad una necessaria evoluzione sociale.
Claudio Naranjo (Valparaiso, 1932) ha studiato medicina, psichiatria, musica e filosofia. È stato tra i fondatori dell'Esalen Institute in California, diventando in seguito uno dei tre successori di Fritz Perls. Attualmente si dedica quasi esclusivamente alla formazione transpersonale e integrativa di psicoterapeuti e insegnanti, in diversi paesi europei e sudamericani. È autore di The End of Patriarchy and the Dawning of a Tri-une Society (1994), saggio da cui deriva il volume qui segnalato.
NON POLEMICHE
MA FATTI
Credo che quando si intraprendono campagne contro gli illeciti fiscali, bisognerebbe distinguere chiaramente tra chi è andato all'estero per trovare un lavoro e chi invece si è trovato una residenza fittizia per evadere le tasse.
Non è nelle mie intenzioni aprire polemiche sugli effetti del cosiddetto scudo fiscale sui cittadini italiani residenti nel nostro Paese, ma occupati nella Confederazione Elvetica. È un dato di fatto che si siano registrate tensioni tra l'Italia e la Svizzera, forse si sono creati anche problemi interpretativi per ciò che riguarda l'applicazione dello scudo ai frontalieri. Ciò poteva essere evitato se solo si fosse applicato l'accordo siglato nel 1976 tra i due paesi, che regolamenta sino ad oggi l' imposizione fiscale in Svizzera e la compensazione finanziaria ai comuni italiani di confine.
Su questo problema ho scritto e pubblicato una presa di posizione, in quanto mi sono state rappresentate diverse e fondate preoccupazioni di nostri connazionali, che avevano ricevuto dall'Agenzia delle Entrate un' ingiunzione a regolarizzare la loro posizione e a far rientrare i loro risparmi. Si tratta per altro di connazionali che in molti casi non hanno mai lasciato definitivamente la Svizzera, ma hanno semplicemente prolungato le loro ferie nei loro paesi d'origine. Credo che quando si intraprendono campagne contro gli illeciti fiscali, bisognerebbe distinguere chiaramente tra chi è andato all'estero per trovare un lavoro e chi invece si è trovato una residenza fittizia per evadere le tasse.
Confermo e sottoscrivo che la generalità degli italiani che lavorano in Svizzera paga regolarmente le tasse. Se poi vi sono delle aree di privilegio o di evasione, dovrebbero essere le istituzioni preposte a fare luce su eventuali fenomeni di illegalità.
Non capisco la foga nel difendere l'operato dell'Agenzia delle Entrate, quando la stessa ha divulgato, con la circolare N48/E del 17 novembre scorso, un chiarimento che stabilisce i soggetti interessati al cosiddetto "monitoraggio fiscale" ed alla loro residenza. Alla luce di quanto è successo, appare ancora più evidente l'immoralità di questo condono. Prima di me, lo stesso Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, aveva manifestato scetticismo sui controlli che lo scudo prevede per impedire il riciclaggio di capitali mafiosi.
Egli tra l'altro ha fatto osservare che in altri Paesi che hanno fatto ricorso in questi mesi a provvedimenti analoghi non è stato concesso l'anonimato, non sono state condonate le tasse evase ed è stata prevista una rigorosa certificazione dei predetti capitali, sicché il rischio che capitali di origine criminale rientrino in Italia, beneficiando per di più di una massiccia sanatoria, è evidente. Ritengo che l'evasione fiscale sia una cancrena della nostra società; chi incita ad evadere il fisco non è degno di cittadinanza.
Come cittadino italiano non mi importa sapere cosa fanno i nostri governanti "sotto le lenzuola", ma mi sento in diritto di esprimere le mie critiche al modo di governare, al fatto che ormai ci sia diffusa indifferenza morale. Quindi le domande che mi pongo sono: governano bene? Fanno gli interessi dell'Italia o solo i propri?
Rispetto a queste domande parlano i dati e le cifre fornite dallo stesso governo: il deficit quest'anno è arrivato al 5,2 per cento ed è molto probabile che salga ancora. In parte ciò è dovuto alla crisi internazionale, ma in parte è dovuto a cause interne, e cioè alla diminuzione delle entrate fiscali e all'andamento della spesa pubblica. La spesa pubblica, che è aumentata in un anno del 4,9 per cento. In cifre assolute di 35 miliardi di euro. Stiamo parlando di spesa corrente della pubblica amministrazione, cosa se ne è fatto di questi 35 miliardi di maggiore spesa in un anno di vacche magre?
Non mi si venga a dire che sono stati usati per stimolare l'economia, magari fosse così. Invece no, per stimolare l'economia sono stati spesi in tutto 3 miliardi.
Invece di fare i condoni si dovrebbero ricercare e aggredire le cause di questo disastro. A mio avviso esse sono da ricercare nell'intreccio perverso degli interessi politico-imprenditoriale che si è ormai fatto sistema: è sotto gli occhi di tutti che nei governi regionali, provinciali, comunali vi siano diversi assessori che sono anche imprenditori con una ramificazione di interessi che vanno dalla sanità all'edilizia, dalle opere pubbliche alle bonifiche, dando così vita ad un sistema di autofinanziamento che svuota lo Stato dall'interno.
A questo punto dico: invece di accusarmi di fare disinformazione, si documentino e, se hanno a cuore le sorti del nostro Paese, vigilino! È evidente infatti che più cresce il malaffare intrecciato con la politica, più cresce il nostro debito pubblico e meno restano le possibilità per stare al passo con il resto d'Europa.
Corrado Trotta, Wettingen
presidente Comites Argovia
QUALE LIBERTA'
DI STAMPA
Attorno a ogni fatto importante c'era il problema della stampa... Ma a tutti quelli che inneggiano alla libertà di stampa mi verrebbe da chiedere "sì, va bene, ma quale libertà?"
Ma cos'è questa libertà di stampa per cui oggi sembriamo pronti, per l'ennesima volta, a strapparci le vesti? E' una domanda che mi faccio da quando ero al liceo, quando sentivamo che era scoppiata una bomba in una banca, che qualcuno aveva buttato giù dalla finestra di una questura un anarchico; quando leggevamo per la prima volta di stragi di stato, servizi segreti, neofascisti, depistaggi.
All'Università cominciammo a comprare la Repubblica, un'etichetta a buon mercato di borghese progressista (un ossimoro); erano anche anni in cui si girava con il manifesto nella tasca dell'eskimo. Un'altra etichetta scontata. Erano gli anni di Moro. Ancora sangue, misteri, fiumi di inchiostro. Imparavamo cose nuove: stampa di regime, giornalisti venduti, giornalisti ammazzati.
Attorno a ogni fatto importante c'era il problema stampa.
Oggi di fatti politici importanti nostrani non se ne vedono poi molti: un'affermazione probabilmente vera se TV di Stato, giornali, settimanali, internet, parlano tutti delle stesse stupidaggini relative a una persona al potere (non di potere) che come tante passerà senza lasciare idee durature. Senza lasciare un segno né un sogno per le nuove generazioni.
Ma, cosa strana perché sproporzionata in relazione ai fatti che si vorrebbero da una parte tacere, dall'altra amplificare, si è tornati a usare le tre parole magiche "Libertà Di Stampa". Sì, magiche; perché se leggiamo cosa hanno fatto i liberali dell'800 per una stampa libera, quando Carlo Alberto, piegato dagli eventi, concesse a parole la libertà richiesta con la formula rinnegante "La stampa sarà libera ma soggetta a leggi repressive"; se studiamo le considerazioni dei padri della Costituzione degli Stati Uniti d'America in merito alla stampa che portarono al primo emendamento alla Costituzione: "Il Congresso non potrà fare alcuna legge
per limitare la libertà di stampa
".
Parole magiche, se guardiamo ancora alle lotte della Chiesa di Roma affinché la gente non imparasse a leggere ("il giornalismo è il quarto flagello dell'umanità dopo la fame, la peste e la guerra"); a cosa hanno scritto i rivoluzionari francesi dopo la vittoria ("
ogni cittadino può scrivere, pubblicare liberamente salvo rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge" dando spazio quindi al corso europeo continentale di legislazione speciale sulla stampa).
Parole magiche, se leggiamo i discorsi fatti nei nostri parlamenti subalpino e romano, le battaglie dei finti liberali alla Costituente per dare al popolo solo a parole la libertà di stampa e toglierla poi nei fatti; se leggiamo il primo discorso a difesa della libertà di stampa, l'Aeropagitica del poeta John Milton (1644) e i discorsi inascoltati alla Costituente del drammaturgo Vincenzo Tieri (come a dire che poeti e scrittori sono più adatti a parlare di libertà di stampa dei politici); se facciamo questi esercizi ci accorgiamo che, forse, è fuori luogo andare in piazza a urlare parole che hanno ben altra storia, altra dignità.
In realtà, i problemi della stampa di casa nostra sembrano essere altri: ancora oggi la stampa è regolata da leggi speciali e, fino a che vige una legislazione speciale, certo non si può parlare di stampa libera; ancora oggi il giornalista ha un processo tutto per sé, un processo speciale quindi, che la Corte costituzionale -con salti mortali interpretativi- si ostina a considerare legittimo; ancora l'Albo dei giornalisti, un'idea dei Gesuiti di Civiltà cattolica realizzata a livello normativo dal Fascismo.
A tutti quelli che inneggiano alla libertà di stampa mi verrebbe da chiedere "sì, va bene, ma quale libertà?"
RINALDO BOGGIANI
Autore di "Antistoria della libertà di stampa in Italia", Roma, Edizioni Associate, 2009 (3a edizione)