lunedì 15 dicembre 2008

Cento cortei in cento città

Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina
Il sorpasso della Spagna
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat nel 2006 le economie di Spagna e Italia - la quarta e la quinta in Europa - erano molto vicine: il pil pro capite in Spagna aveva raggiunto il 104 per cento del reddito medio degli abitanti dell'Unione europea, contro il 103 per cento dell'Italia. Nel 2007 il divario è cresciuto: il pil pro capite spagnolo è aumentato al 106 per cento contro il 101 per cento dell'Italia.

El País, Spagna
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Cento cortei in cento città
Un milione e mezzo di persone in piazza con la Cgil nonostante il maltempo. Grandissima partecipazione non solo allo sciopero generale ma anche alle manifestazioni che si sono tenute in 108 città, indette dalla Cgil e alle quali hanno partecipato non soltanto i lavoratori del sindacato di Epifani ma anche i movimenti, gli studenti, i migranti. 80 mila manifestanti a Milano, 30 mila a Torino e Bari, 40 mila a Napoli. Uno striscione della Cgil scuola di Genova: "Fatti non fummo per viver come... Silvio, ma per seguir virtute e conoscenza". La controriforma Gelmini costretta alla difensiva.

Guglielmo Epifani chiede al governo e a Confidustria una cabina di regia comune per affrontare la crisi: «Lo sciopero è un mezzo per raggiungere degli obiettivi e mai un fine. Gli obiettivi sono di chiedere al governo di affrontare la crisi e di intervenire come stanno facendo gli altri governi europei» - ha dichiarato il segretario generale della Cgil. «Se la crisi è eccezionale non si può affrontare con poche risorse. Perchè la Francia sostiene gli investimenti, l'Inghilterra i consumi e noi non facciamo niente?».
Altissime le adesioni allo sciopero generale indetto dal maggior sindacato italiano da parte di tutte le categorie dei lavoratori, al Nord come al Sud. Le condizioni atmosferiche non hanno fermato la protesta neppure nella capitale, ma le notizie sulla giornata di lotta sindacale sono state diaframmate, manipolate e silenziate da parte considerevole dei media, pesantemente condizionati dalla crisi del mercato pubblicitario che consegue allo
tzunami della finanza mondiale.

L'ufficio stampa della Cgil ha diffuso ieri in serata la presa di posizione che di seguito riportiamo: "Con vero stupore registriamo una serie di reazioni scomposte, tese a negare l’evidente riuscita delle nostre manifestazioni e dello sciopero generale. In alcuni casi si è fatto ricorso ad argomentazioni che offendono profondamente la nostra Organizzazione e i milioni di persone che oggi sono scese in piazza per rivendicare condizioni di vita migliori. Non intendiamo scendere sullo stesso piano. I numeri, le immagini, ciò che concretamente hanno visto gli occhi di centinaia di migliaia di persone, testimoniano la grande riuscita della giornata di lotta di oggi, nonostante le avverse condizioni meteorologiche che hanno imperversato su tutto il Paese. La scompostezza e le argomentazioni utilizzate confermano, al contrario, l’evidente risultato positivo e la delusione profonda di chi aveva scommesso sul fallimento dello sciopero e delle manifestazioni".

mercoledì 10 dicembre 2008

A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi

Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.

Visti dagli altri - A cura di Internazionale - Prima Pagina

Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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A PROPOSITO DI ALITALIA

Dunque, la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi? Mentre scriviamo (venerdi’ 5 dicembre) Berlusconi incontra a Villa Madama i sedici soci di Cai (la "nuova Alitalia") per verificare chi vuol essere veramente della partita...

di M. Sironi
Clessidra, il fondo di private equity che partecipa a Cai attraverso la Lauro Quaranta spa, si è tirata indietro: troppe incertezze. Oltre al "cip" di partenza di 10.000 euro gia’ versato da tutti – ha fatto sapere Clessidra - non vi saranno altri versamenti da parte sua.

Molto incerto anche Gianluigi Aponte, patron della societa’ di crociere MSC, che doveva essere uno dei soci forti insieme alla IMMSI di Colaninno, alla Atlantia dei Benetton e naturalmente ad Intesa Sanpaolo, grande artefice dell’operazione. Ci sono poi voci di defezione da parte della Findim (Famiglia Fossati), i cui rappresentanti all’assemblea Cai del 28 ottobre si sono astenuti dal votare lo statuto, che impone ai soci di non vendere le proprie quote per i primi cinque anni. E i soliti ben informati danno per assai probabile la defezione, a tempo debito, anche di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: la sua partecipazione è infatti "simbolica", al solo scopo di contribuire al salvataggio di una parte storica del patrimonio industriale del Paese.

Dunque la "nuova Alitalia", che attualmente ha un capitale di 160.000 euro (come un appartamentino alla periferia di Milano), si accinge a comprare la parte buona della nostra vecchia compagnia di bandiera, valutata dai periti 1.050 milioni di euro. Ma chi ci mettera’ veramente i soldi?

Colaninno sta facendo un po’ di cassa tramite la vendita degli immobili turistici a Is Molas. C’è poi Carlo Toto, che conferira’ a Cai la sua Airone, compagnia aerea peraltro gia’ decotta e molto indebitata con la stessa Intesa Sanpaolo che l’ha sempre avuta a cuore, e che ora la salvera’ "buttandola" in Cai.

Ma pur di mandare in porto l’affare – dicono i soliti ben informati – Intesa Sanpaolo presterebbe soldi anche a tutti gli altri soci, accettando in garanzia le stesse azioni Cai che si accingono a comprare. Insomma, il solito gigantesco conflitto di interessi, che vede la banca guidata da Corrado Passera nella veste di artefice, partecipe e finanziatrice della cordata, nata apposta per rilevare una, anzi due societa’ in coma: Alitalia ed anche Airone.

Ecco il prezzo pagato dal Cavaliere perchè si costituisse in quattro e quattr’otto la "nuova Alitalia" promessa agli elettori: ha dovuto avvicinarsi a Passera, amministratore delegato di Intesa - gia’ puledro della scuderia De Benedetti come lo è stato anche Colaninno – che ha voluto tirarsi dietro pure Airone. Ma per i soci coraggiosi che vorranno salire su questa barca c’è gia’ in vista un cavaliere bianco: AirFrance, che alla fine – scommettono quasi tutti – comprera’ da chi vorra’ vendere. AirFrance ringrazia, perchè non troppo tempo fa era disposta a pagare Alitalia tre volte il prezzo attuale. Carlo Toto, patron di Airone, ringrazia e torna a fare il costruttore in Calabria. E un po’ ringrazia anche Lufthansa, che intanto ha stretto accordi con la SEA (gestore dell’aeroporto di Malpensa) e vede aumentare i propri passeggeri di mano in mano che Alitalia annulla i voli mentre i soci di Cai si dilungano in patteggi.

E gli altri? Colaninno probabilmente fara’ quello che ha fatto sempre (vedi Telecom ): comprare con i soldi delle banche, gestire per un po’, vendere incassando plusvalenze. E piu’ o meno è quanto si aspettano di fare anche gli altri soci, nessuno dei quali ha mai fatto viaggiare aerei per mestiere.

C’è qualcuno che non ringrazia? Sono i soliti. Gli azionisti della vecchia Alitalia, ex societa’ quotata, le cui azioni non valgono piu’ nulla, e tra di essi il pacchetto piu’ grosso l’ha sempre il Tesoro. Ci sono poi quelli che hanno in mano obbligazioni Alitalia: piu’ di 700 milioni in controvalore, distribuite tra risparmiatori, fondi, gestioni. E anche qui piu’ della meta’ le ha sottoscritte il Tesoro.


Visti dagli altri - A cura di Internazionale - Prima Pagina
Licenziamenti in vista a Telecom Italia
Si annunciano tempi duri per i lavoratori della società di telecomunicazioni italiana Telecom. Nel piano industriale per il 2009-2010 che l'azienda ha presentato a Londra sono annunciati quattromila licenziamenti in più, oltre ai cinquemila giù previsti per il 2010. L'amministratore delegato Franco Bernabè ha annunciato che l'obiettivo è ridurre il debito a cinque miliardi di euro, contro i 37,5 dello scorso agosto.

El Pais, Spagna
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giovedì 27 novembre 2008

Brunetta socialista?

Caro Direttore, il ministro Brunetta ci tiene molto a precisare la sua appartenenza al socialismo, ma a questo punto qualcosa non mi quadra. Non è forse molto vago il termine socialista? Anche Mussolini era un giornalista socialista prima di diventare il capo del Partito fascista, o no?

Dalla sua biografia si evince che il suo socilaismo di riferimento è stato quello craxiano, da mie conoscenze personali so che alla CGIL veneta non è che fosse considerato proprio un genio... Anzi, persona attendibile, mi fa capire che lui e Sacconi si comportano così contro la sinistra perché allora non avevano nel sindacato quegli spazi che avrebbero voluto. La rabbia di oggi sarebbe un classico caso di ritorsione, come dire una miseria umana non certamente degna da chi, come ministro, dovrebbe lavorare nell'interesse della comunità. Ma pretendere che certa gente abbia il senso dello Stato, oggi, è come mettere il rossetto ad un maiale e pretendere che sia una bella donna, Obama and Mc Caine docent.

L'essere socialista, secondo la mia cultura, non dovrebbe essere compatibile con Forza Italia (e la P2), o PDL, , come oggi si dice, ma forse mi sono perso qualcosa durante questi anni. Turati, Nenni, Pertini, tanto per citare alcuni padri nobili, forse non erano Italiani o abitavano altri secoli. Chissà! E l'Avvenire dei Lavoratori, a questo punto, cosa avrebbe da spartire con questi autodichiarantisi socialisti? Ci sarebbe da offendersi per l'accostamento, se non avessimo il senso dell'humour mostrato dal Ministro Brunetta davanti alle telecamere. Sarà anche questa una carineria, degna però di miglior sorte?

Prof. Nino Puliatti, Messina

martedì 18 novembre 2008

Precario, ma non gregario

"Col salario che si piglia / fa campare la famiglia / e da vecchio poi si acquista / un negozio da ciclista / o un baretto, anche più spesso, / con la macchina per l'espresso".

Gentile compagno direttore, qui in Italia la situazione dei precari si è fatta insostenibile. Sono bastati pochi mesi - quelli estivi, of course - per un netto peggioramento.
    Poiché - come diceva il nostro Nenni - in politica non sono dati vuoti, è emerso un vasto movimento, alquanto inedito per composizione sociale e modalità di azione e di comunicazione, che ha ripreso in mano la vasta area delle opposizioni (al plurale) verso le politiche neoliberiste.
    Quanto bisogno ci sarebbe di un vero partito socialista (di sinistra e antiliberista)! Solo persone fanaticamente indottrinate dallo Zeitgeist possono negarlo. Solo persone meschinelle possono pensare a un partito socialista (bonsai) che non lotti per una scuola pubblica...
    Tenga presente che qui, a scuola, la situazione è a dir poco caotica. Ma di questo un'altra volta. Le invio qui sotto una filastrocca di Gianni Rodari che credo molto utile per chiudere con un po' di sana autoironia. 
Saluti socialisti da un giovane precario socialista
Lettera firmata, Bari

 

lunedì 20 ottobre 2008

Sì all'impegno, no alla delusione

Il berlusconismo e l'antipolitica grillina sono due facce della stessa medaglia, funzionano come vasi comunicanti che si rafforzano a vicenda.

Il primo fenomeno, il berlusconismo, viene da lontano, nasce con la degenerazione anni ottanta della prima repubblica nel momento in cui si perfeziona il patto scellerato tra politica e affari.

Il secondo, il grillismo, di origine più recente, sviluppa il suo consenso attraverso l'uso demagogico e tendenzialmente populistico della propaganda, ottenendo l'effetto perverso di consolidare il blocco conservatore.

Il partito democratico, quindi, oltre ad avere una base elettorale storicamente di minoranza spesso in balia di infinite contraddizioni, rischia pure di rimanere oltremodo compresso tra queste due spinte.

Cosa fare quindi per rivitalizzare il nostro elettorato e far comprendere che la delusione come la demagogia assicurano all'attuale premier un futuro certo al Quirinale?

Cosa fare per spiegare che serve davvero il contributo positivo e fattivo di tutti e che il tempo della depressione e della critica continua ci condanna alle leggi ad personam?

Gianluca Bontempi, Roma

Gianluca Bontempi, Roma

giovedì 16 ottobre 2008

IL MEZZOGIORNO E IL MEDITERRANEO

di Gianni Pittella
Alfredo Reichlin  sulle colonne de "l'Unità" e Predrag Metvejevic su "Il Mattino" del 30 settembre hanno offerto un contributo di riflessione importante sui temi del Mezzogiorno e del Mediterraneo che mi auguro aprano finalmente un confronto di respiro politico e culturale slegato da una visione emergenziale.
    L'analisi di Reichlin è un'istantanea impietosa e vera della condizione socio economica del Mezzogiorno (e mi chiedo cosa accadrà quando la stagflazione si trasformerà in recessione anche per l'effetto domino della tempesta finanziaria americana).
    Ed è anche un autorevole richiamo ad una maggior attenzione, anche del Pd, alla durezza della crisi meridionale ed alla sua "crucialità" ai fini della ripresa del Paese. E Metvejevic scrive del Mediterraneo, mare trascurato e incapace di diventare progetto, e di un'Italia e di un'Europa che crescono fuori dalla loro culla. La mia opinione è che non esista una via di uscita credibile alla crisi del Mezzogiorno, senza che sia identificata una sua "funzione" utile all'Italia e preziosa all'Europa. E questa funzione è indissolubilmente legata al Mediterraneo. Del Mediterraneo il Mezzogiorno d'Italia può essere la piattaforma logistica. Il Governo italiano si faccia promotore di un Tavolo interistituzionale per il Mezzogiorno.
    Questa è la mia  proposta. Un Tavolo per il confronto tra i vari livelli istituzionali per varare un piano finalmente moderno e razionale per l'infrastrutturazione del meridione. Possiamo trasformare il Mezzogiorno in una grande piattaforma logistica del Mediterraneo intercettando le navi che provengono dall'Oriente e dall'Africa e che oggi fanno scalo in altri Paesi come la Spagna. Per fare questo è necessario rendere idonea la nostra rete a partire dal porto di Gioia Tauro, dall'intera rete portuale e infrastrutturale meridionale, a cominciare dall'alta velocità ferroviaria e soprattutto coinvolgere le Regioni e la deputazione italiana al Parlamento europeo per concentrare una parte delle risorse europee e nazionali su questo obiettivo.
    Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere la piattaforma per lo sviluppo e la valorizzazione dell'energia da fonti alternative. Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere il motore progettuale nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, della cooperazione, dell'Università del Mediterraneo.
Ricerca e sviluppo tecnologico rappresentano l'ombrello sotto il quale sviluppare prodotti e programmi destinati tanto a migliorare la sicurezza dei cittadini europei quanto a combattere i cambiamenti climatici. Funzionali a questi obiettivi sono i finanziamenti del Settimo Programma Quadro ed è bene ricordare che l'industria italiana ricopre posizioni di rilievo in settori di punta che vanno dalla sicurezza dei porti alle celle a combustibile, dai satelliti al trasporto aereo pulito, ambiti importanti considerato che la riduzione delle emissioni è legata anche allo sviluppo di energie alternative.
    Ma L'Europa sta "investendo" anche nella sicurezza e nell'ambiente, elementi centrali di uno dei grandi programmi tecnologici su cui punta l'UE per i prossimi anni: il GMES (Global Monitoring system for Environment and Security), un sistema concepito per fornire ai decisori europei le informazioni necessarie ad affrontare le crisi legate all'ambiente ed alla sicurezza con cui si dovrà confrontare l'Europa nei prossimi anni. Il contributo del GMES, nell'area mediterranea, può essere particolarmente importante laddove consideriamo i servizi legati all'ambiente marittimo. Catastrofi ambientali dovute ad eventi naturali, incidenti o azioni illegali richiedono un impegno condiviso da tutti i paesi dell'area.
    Ma ci sono anche altre iniziative che potrebbero rilanciare l'asse Mezzogiorno-Mediterraneo come ad esempio:
- creare un fondo di investimenti per lo sviluppo del Mediterraneo a partire dal fondo apposito di cui è dotata la Bei;
- istituire un osservatorio delle popolazioni delle emigrazioni e della regolazione dei movimenti delle persone;
- favorire le cooperazioni trasversali al livello delle regioni e delle città (con) la creazione di un consiglio permanente delle regioni mediterranee, che sarebbe l'interlocutore privilegiato delle istituzioni europee;
- la creazione di un agenzia di formazione professionale per favorire una immigrazione qualificata attraverso un programma di formazione degli ingegneri e tecnici specializzati nelle energie rinnovabili;
- creazione di un programma Erasmus mediterraneo, a termine, la creazione di una Università mediterranea a pieno titolo, che potrebbe svilupparsi più avanti anche in molte città del nord e del sud;
- istituire una federazione che riunisca le fondazioni culturali del mediterraneo.
    Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorrono tre condizioni:
- un'Europa che smetta di concentrare le sue azioni lungo l'asse est ovest e comprenda pienamente la sua "convinzione" nell'essere "mediterranea"
- una classe politica italiana che riconosca l'utilità del Mezzogiorno, il suo valore prezioso per l'intero Paese e per l'Europa, legato ad una funzione che svolge appunto nel Mediterraneo;
- una classe dirigente meridionale meno dedita alle faccende della cucina domestica e capace di misurarsi su una grande sfida. Su quest'ultimo punto, io dico, iniziamo da noi del Partito democratico.
    La fondazione Italianieuropei e Mezzogiorno Europa aprendo una sede di lavoro comune a Napoli potranno certamente darci una mano per riportare il gusto del progetto, dell'elaborazione e della sfida su un terreno così decisivo per il Pd, per il Paese e per l'Europa.

lunedì 13 ottobre 2008

ALLO SBANDO

I MERCATI FINANZIARI SONO ALLO SBANDO

DI CHI E' LA COLPA? E CHI PAGHERA' ALLA FINE?


di M. Sironi
 

Se una pensionata va in banca a comprare qualche buono del Tesoro, prima di aprire un dossier titoli deve compilare un bel po' di scartoffie e sottoporsi ad un esamino da parte del funzionario, atto a stabilire il suo "profilo di rischio".

    Dopo i casi Cirio e Parmalat è d'obbligo l'assoluta correttezza. Se i funzionari dell'ufficio titoli vogliono impiegare i soldi della banca in operazioni ad alto rischio/alto rendimento sui mercati over the counter (ndr, non regolamentati) o addirittura comprare dei credit default swaps ( cioe' scommettere che, ad esempio, il Tesoro italiano fara' bancarotta), lo possono fare.  Anzi, lo hanno fatto largamente per anni, soprattutto all'estero. 

    In Italia, essendo gli "investitori istituzionali" relativamente poco numerosi, lo si è fatto un po' di meno: ecco perche', secondo gli esperti, il ciclone finanziario dovrebbe risparmiarci. A dirlo sono gli stessi esperti  che fino a ieri l'altro auspicavano una presenza assai piu' massiccia di banche d'affari e fondi di investimento,  gli institutionals appunto, i soli in grado di dare al nostro mercato dei capitali spessore e stabilita', indispensabili tra l'altro per un sano sviluppo del terzo pilastro pensionistico.

    Adesso col senno di poi sia gli operatori che le autorita' di controllo parlano di "errori di valutazione del rischio". Lo ha detto anche Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, quando domerica scorsa ha messo in cantiere un aumento di capitale da tre miliardi per recuperare un po' di liquido.


    Tutto qui?  Negli USA l'alta dirigenza delle banche d'affari salvate dal Governo è stata congedata con premi di milioni di dollari, come da contratto di assunzione. Il perche' è semplice: non hanno commesso illeciti, non ci sono state truffe grossolane come nei casi Enron o Parmalat. E la sottovalutazione del rischio, specie se si tratta di un comportamento comune, non è un illecito.  La colpa è del sistema dei controlli, dicono gli addetti ai lavori, ormai del tutto inadeguati.

    "E' la regolamentazione finanziaria che va cambiata" – dice Gregorio De Felice, presidente AIAF (Associazione italiana analisti finanziari). "Come è possibile che  la Security and Exchange Commission  (la Consob statunitense) abbia accettato di buon grado l'incremento abnorme della leva finanziaria delle societa' che doveva controllare, arrivata fino a 40 volte il rapporto tra debito e capitale? ".

    Sconcertante, afferma De Felice, è anche l'enorme discrezionalita' con cui la FED ha deciso i suoi interventi: l'AIG è stata salvata con un'iniezione diretta di 85 miliardi di dollari, la Lehman Brothers è stata sacrificata, mentre la Bearn Stearns è stata data su un piatto d'argento alla J. P. Morgan.  Dove è finita la fede yankee nel libero mercato, ora che il Governo ha salvato Fannie Mae e Freddie Mac nazionalizzandole?

    La crisi statunitense è innanzitutto una profonda crisi di valori, scoppiata con il caso Enron e mai risolta: a cosa è servita – si chiedono in molti -  la severissima e complicata legge Sarbanes Oxley, varata di gran carriera dopo lo scandalo?  Non è servita a nulla, anzi peggio, dice Jonathan Macey (Yale Law School). Intervenendo al convegno di fine settembre della Fondazione Courmayeur, Macey ha sparato a zero tra gli applausi della platea:  la FED e soprattutto la SEC operano ormai sotto l'influenza di potentissime lobbies, mentre le societa' di revisione, come quelle di rating, sono "captive" dei loro committenti, perche' sono questi ultimi che pagano per essere giudicati.

    L'etica puritana negli affari, i timori di possibili danni reputazionali appartengono ad un tempo che fu, quando a regolare il mercato non c'erano le moltitudini di authority, di norme, di adempimenti costosissimi che troviamo ora.  Ora solo i grossi attori riescono a muoversi, e di fatto dettano legge: ecco il punto. Al G8 di meta' novembre i potenti della Terra cercheranno di riscrivere le regole del capitalismo di mercato, ormai sfuggito di mano.  La proposta di istituire un fondo di emergenza europeo per le banche in crisi è stata bocciata dall'Ecofin di lunedi' scorso: tocchera' quindi al Tesoro di ciascun paese rimediare ai propri crack domestici.

    Ed eccola li', la nostra pensionata con i BOT: gira gira, è sempre da lei che si ritorna.

martedì 7 ottobre 2008

Paradexia



A quando una riflessione su "si può essere antifascisti e non democratici"? I socialisti su questo potrebbero dire molto (quelli, almeno, non succubi delle suggestioni comuniste).
Sergio Cuzzi, Tolmezzo

Caro Cuzzi, come ha scritto il nostro Paolo Bagnoli, le BR furono antifasciste, ma non democratiche. Veda poi lei, in quanto sindaco, se a Tolmezzo (città medaglia d'argento alla Resistenza) ci si voglia dichiarare democratici, ma non più antifascisti. Noi in coscienza non crediamo che si dovrebbe. E ora ci consenta una domanda sui "socialisti succubi delle suggestioni comuniste": non è ciò di cui vegono imputati i repubblicani dell'amministrazione Bush dopo la nazionalizzazione delle perdite speculative americane? 
- Andrea Ermano

martedì 23 settembre 2008

Catania: Assolto il Rom accusato di rapimento

Mercoledì 17 settembre, il tribunale di Catania ha assolto il giovane Rom, Sebastian di 24 anni che il 15 maggio era stato accusato di avere tentato di rapire, assieme ad una donna Rom romena – Viorica di 20 anni - una bimba di tre anni nell’area di parcheggio di un ipermercato nella zona catanese.

L’ infamante accusa era totalmente FALSA!
Così ha sentenziato il Tribunale di Catania, in maniera netta, senza nessuna ombra di dubbio.
Molti ricorderanno l’evento, rilanciato roboticamente, ad arte, per diversi giorni da tutti gli organi di informazione nazionali, televisivi e cartacei. Nel clima massificante e di “obbedienza” quasi tutti gli addetti ai lavori giornalistici – tranne alcune eccezioni - non furono sfiorati da nessuna ombra del dubbio, che dovrebbe essere sempre figlio diretto del democratico e civile raziocinio umano.

Dagli ai nuovi nemici untori e distruttori della pacifica e civile convivenza degli italiani! Quelli….che tranquillamente, in parecchi casi, si ammazzano e si stuprano in famiglia e tra gli affetti d’amore.

Le “carte stampate” locali dedicarono intere pagine, lunghi, stigmatizzanti e solenni furono i servizi televisivi…..inseguendo la sciocca e velenosa velina.

Emerse, complessivamente, dalle Alpi a Capo Passero, una voce unica e totalizzante: dagli ai Rom. I partiti e le organizzazioni delle destre amplificarono in maniera possente e perversa l’attacco ai ROM, accusati ancora una volta di essere dediti al rapimento dei bambini.

Per Loro era tutto grasso che colava. Si scagliarono “lancia in resta”: in nero paludati, in gesso griffato o con l’ampolla. Da sfruttare al massimo, giusto per aizzare l’odio.

Il drammatico ed inesistente caso fu montato ad arte ad appena quattro giorni dalla vicenda di Ponticelli (Napoli), dove una ragazza Rom di 16 anni fu accusata di aver tentato di rapire una bimbetta di pochi mesi.

Caso ormai smontato, risultato privo di veridicità.
A seguito del razzismo, della caccia ai “diversi”, scientificamente propagati, furono bruciati tutti i campi Rom esistenti nell’area di Ponticelli.

Nell’ “evento” catanese i due innocenti giovani, a seguito dell’accusa, finirono in carcere.
Le conseguenze per tutti i Rom stazionanti a Catania furono tragiche e pesanti.
A pochi giorni di distanza ai residenti nel principale campo (circa duecento), quello ubicati nel quartiere di Zia Lisa, fu comandato di andare immediatamente via, e ritornare in Romania. La qual cosa avvenne.

I Rom, terrorizzati, che avevano tanti bambini che frequentavano regolarmente le scuole elementari cittadine, “preferirono scegliere il consiglio”, abbandonando velocemente il campo.

Successivamente le povere baracche furono reiteratamente date a fuoco e distrutte.
Come si fosse tornati alle orride persecuzioni nazifasciste contro gli ebrei.
Il tutto è tranquillamente avvenuto sotto il mantello della nostra italica democrazia, nell’anno di grazia 2008, mese di maggio, nell’era del terzo governo delle destre… dopo Tangentopoli.

Meno male che Giustizia è stata fatta.
Civico e democratico onore ai giudici catanesi! …anche se la donna rom è ancora detenuta, per approfondire se nell’evento in causa, inesistente, non siano ravvisabili altri reati minori.

La vicenda catanese (e quella napoletana) insegnano ancora che è molto facile che un popolo, sottoposto a continua pressione mediatica in chiave razzista, possa facilmente perdere la testa, e quindi, vilmente e brutalmente agire, “ubbidir tacendo”.

Lettera firmata, Torino

L'antifascismo dei fascisti e il fascismo dei qualunquisti

Per rispetto dei morti di ieri e di quelli di oggi bisogna denunciare il fatto che: se esprimere opinioni diventa sempre più spesso reato, incitare alla violenza è diventata un’opinione.

Difficile stupirsi che un ministro della guerra come La Russa ed un podestà di Roma come Alemanno approfittino dell’8 settembre (giorno dello scioglimento al sole dell’esercito della monarchia fascista e della speculare, e vittoriosa, nascita della Resistenza popolare) per fare l’apologia delle camicie nere collaborazioniste dei nazisti.

Indignarsi sì, è doveroso, soprattutto con questa Italia di oggi, ignorante o dimentica di un passato che rappresenta le fondamenta della Repubblica e della Costituzione.

Difficile perfino stupirsi che – a differenza del capo degli ex (?) fascisti, Fini, che da anni cerca sempre più solitario di proporre una svolta del suo partito, puntando a collocarsi nel solco della destra europea di tradizione liberale ed antifascista - il presidente del consiglio Berlusconi liquidi la questione sbrigativamente: in fondo, i peggiori fascisti sono sempre stati quelli che hanno approfittato e strumentalizzato gli squadristi, lasciando a loro il lavoro sporco e dedicandosi invece ai propri affari. La storia dell’Italia moderna è (anche) la storia di classi dirigenti che sono state consecutivamente monarchiche, fasciste, democristiane ed ora berlusconiane, disposte ad accettare ogni compromesso, pur di mantenere le mani libere sulla società e l’economia.

A volte (certo non sempre, né spesso…) è comprensibile parlare di buona fede delle pedine del movimento fascista, parte delle quali ha chiuso per tempo con quel passato, rendendosi conto del tragico errore. Ma non è ammissibile parlare di buona fede per i profittatori, gli opportunisti, i grandi e meno grandi burattinai. Quelli di ieri, come la monarchia e le gerarchie statali, economiche e religiose del nostro paese; quelle di oggi, che sputano sulla memoria del sacrificio di antifascisti e partigiani e confondono con un interessato disinteresse le ragioni e le colpe della nostra storia.

D’altronde, come lamentarsi se parte della stessa sinistra italiana – iniziando dai postsocialisti di Craxi per finire con i postcomunisti come Violante – ha cercato di accelerare una vana corsa verso il “potere” gettando le proprie ragioni alle spalle nella smania di legittimarsi e finendo per avvalorare le non-ragioni dell’avversario, dal “superamento dell’antifascismo” alla “comprensione per i ragazzi di Salò” fino alla moltiplicazione astronomica delle foibe e dei “triangoli della morte”. Fra politici furbetti e storici alla moda si è fatto strame di ogni principio e dato di fatto.

D’altronde da anni siamo arrivati ai paradossi: come quello dei fascisti in abito buono diventati i migliori “amici” di Israele, mentre la sinistra (quella che ha popolato i campi di concentramento ed i forni crematori nazisti per prima, rispettivamente insieme ai portatori di handicap ed ai pazienti psichiatrici, e poi agli ebrei, cristiani evangelici confessanti, testimoni di Geova, omosessuali e nomadi) viene accusata di antigiudaismo per la difesa dei diritti dei palestinesi, vittime insieme agli ebrei dell’antisemitismo e del colonialismo europeo. Vescovi nazisti sono stati proclamati santi (come il croato Stepinaz), mentre ogni azione partigiana viene messa all’indice.

Intanto, nella nostra “civile” Italia postantifascista, si può di nuovo dare la caccia liberamente agli omosessuali ed agli stranieri, incendiando le loro case, ammazzandoli di botte per la strada o facendoli morire come mosche nei cantieri, dove di “nero” ci sono soprattutto i rapporti di lavoro. In un paese dove non si sono mai fatti i conti con le centinaia di migliaia di vittime del colonialismo e delle guerre italiane, ogni aggressione è derubricata dalla magistratura (ma come si sono potute – a sinistra – sostituire le inchieste giudiziarie alla lotta di classe?) a “futili motivi”, “ragazzate”, eccetera. Come quando, decenni fa, ogni aggressione fascista era liquidata in questo modo: finché non hanno cominciato ad esplodere le bombe delle stragi nere.

Di che stupirsi, appunto, quando ci sono politici come Bossi che hanno fatto carriera parlando di armi e di violenza? Finché ci sono giornalisti, come il direttore di Telepordenone, che di armi parla sempre, invitando ad usarle? Con simili “educatori” in cattedra, come si può escludere che qualche scemo ti ammazzi di botte per strada? Se esprimere opinioni diventa sempre più spesso reato, incitare alla violenza – evidentemente – è diventata un’opinione.

Gian Luigi Bettoli, Spilimbergo (PN)
P.S.: In tanta tristezza, la notizia della “fuga ingloriosa” dei trafficoni che cercavano di arraffarsi Alitalia con la protezione del governo di Bananaland, cacciati a furor di popolo da migliaia di lavoratori festanti, è un raggio di luce. Meglio il fallimento, che l’ulteriore massacro dei diritti dei lavoratori. Il neoliberismo precipita in tutto il pianeta, insieme con i suoi finanzieri d’accatto. C’è ancora speranza, se la gente è ancora capace di dire no.

lunedì 15 settembre 2008

Cara Gelmini, evviva la scuola di qualità!

Lettera aperta
"Sono precaria da ormai 18 anni, e ho superato i 50 anni; per quello che può valere (a quanto pare meno di zero) ho conseguito una laurea, due abilitazioni, vinto un concorso ordinario, fatto corsi di formazione... Ciò nonostante rientro perfettamente nella tipologia alla quale Lei, gentile Ministro Gelmini, rivolge l'invito, senza mezzi termini, di cercarsi un altro lavoro". Prendendo le mosse dall'incontrovertibilità dei fatti sperimentati di prima persona, la professoressa Cossolini illustra lo stato dell'arte nel sistema scolastico di uno Stato il cui governo pare giunto alla vigilia dello scatenamento cinico contro i lavoratori della scuola.

Gentile Ministro Gelmini, in riferimento all'articolo su Repubblica del 5.09.09, "In tre anni taglierò 87.000 cattedre, la scuola è ormai al collasso" e di quello in data odierna, sempre su Repubblica "Mi dispiace per i 200 mila precari ma il loro futuro non dipende da me" vorrei puntualizzare quanto segue.
Sono precaria da ormai 18 anni, e ho superato i 50 anni; per quello che può valere (a quanto pare meno di zero) ho conseguito una laurea, due abilitazioni, vinto un concorso ordinario, fatto corsi di formazione, ciò nonostante rientro perfettamente nella tipologia alla quale Lei rivolge l'invito, senza mezzi termini, di cercarsi un altro lavoro, perché nella scuola "l'ultimo treno è partito con le 25.000 assunzioni" dell' estate passata tra l'altro autorizzate dal precedente ministro, Giuseppe Fioroni.

Mi permetto di dubitare circa il fatto che tutta l'opinione pubblica sia con Lei come continua a dire in varie dichiarazioni alla stampa "L´opinione pubblica è con me, la politica irresponsabile del passato ha rubato il futuro ai giovani della mia generazione, ma sui cittadini italiani del 2020 non si deve scherzare. Il loro destino non può essere oggetto di bassa speculazione politica", una politica che continua tuttavia a rubare il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori e famiglie legate al comparto scuola.

E mi permetta, bel modo di preparare il futuro dei nuovi cittadini, riducendo le ore di insegnamento e tagliando risorse; il budget del Suo ministero "viene mangiato dagli stipendi dei docenti" non è che forse sarebbe necessario investire? Chiedere un budget maggiore? Molti edifici scolastici sono fatiscenti, ai docenti si chiede di portare avanti progetti, attivarsi nei corsi di recupero, trovare strategie per evitare la dispersione scolastica, tutto questo senza nuovi investimenti, anzi riducendo il personale, a volte si ha come l'impressione che Lei venga da un altro pianeta.

Dalle sue interviste e dal suo operato di questi ultimi mesi si evince che, ovviamente, nuovamente, il Ministero della Pubblica Istruzione è stato affidato a qualcuno che sa di scuola solo quello che ricorda dalla sua esperienza personale dietro i banchi o che desume dal "sentito dire" o da quanto legge sui giornali.

Ha mai provato a gestire una classe di 31 adolescenti? Ha sperimentato cosa significa essere assunta e licenziata per anni di fila, essere costretta a cambiare posto di lavoro, colleghi, alunni ogni anno, per poi sentirsi dire appunto " hai perso il treno", per un soffio, ma l'hai perso?

Lei parla di merito, di valutazione dei docenti e di qualità della scuola. Niente da eccepire, nessuno di noi teme di essere valutato, del resto lo siamo ogni giorno, dagli studenti, dalle famiglie e soprattutto dai media che sembrano fare a gara per dimostrare quanto siamo fannulloni. Ovvio solo le cose negative fanno notizia, così gira il mondo!

E' chiaro che anche la qualità della scuola, che ogni Ministro promette ad ogni cambio di governo, si limiterà, come al solito, a belle parole perché l'unico modo, del resto il più facile, che anche Lei propone per dare qualità alla scuola si basa sui tagli, necessari per migliorare lo stipendio da lei definito "misero" dei docenti meritevoli (tra i quali ovviamente non sono contemplati i precari, forse che precario significa anche non meritevole o non preparato?).

Mi chiedo comunque come possa essere di qualità una scuola che, oltre a tagliare il numero dei docenti, autorizza classi di 31 alunni (quando spesso le aule obsolete riescono a contenerne a malapena 22), propone la riduzione delle ore di lezione e di conseguenza dell'offerta formativa e che, infine, permette che ogni anno vengano assunte e licenziate migliaia di persone.

Dimenticavo: il tutto a vantaggio delle scuole paritarie che, oltre ad incassare notevoli rate dalle famiglie, possono formare classi di pochi alunni e regalare diplomi.

Evviva la scuola di qualità!
Di sicuro non credo che i precari si aspettassero davvero di essere immessi in ruolo tutti in questa tornata di assunzioni ovviamente, precario non è neppure sinonimo di ingenuo, ma sicuramente non si aspettavano questa sua "strategia" operativa: eliminarli, invitandoli a cercarsi un altro lavoro. Soprattutto il suo invito tra l'altro era indirizzato proprio ai precari storici cioè a quelli che hanno anche 50 anni e anche 20 anni di lavoro nella scuola pubblica. E Lei sicuramente dimostra di non porsi nessun problema etico o morale, nel dire a persone che lo Stato, che lei rappresenta, ha "usato" per anni, a suo comodo: "non mi servite più" . E' vero, afferma di non voler licenziare nessuno, ma solo perché è impossibile licenziare un dipendente pubblico di ruolo se non per gravi e comprovati motivi.

E di nuovo una strategia innovativa: non verranno sostituiti i docenti che andranno in pensione!
Mi chiedo comunque se Lei abbia già visto con la sfera di cristallo, quanti ne andranno alle primarie e quanti nelle medie inferiori e superiori, ma anche se così non fosse, avrà sicuramente studiato in piano di riciclo del personale, che le permetterà di spostare docenti del primo ciclo sul secondo e viceversa, sempre nella prospettiva di una scuola di qualità.

Trovo inoltre vergognoso, che un Ministro di una repubblica considerata democratica, si permetta di dare pubblicamente solo giudizi negativi sui docenti della scuola che rappresenta la cultura italiana.

E pensare che molti docenti avevano apprezzato l'idea di avere un ministro "rosa" e soprattutto giovane. Ma come si sa, il rosa e la giovane età da soli non sono una garanzia soprattutto se guidati e consigliati da qualche altra figura politica che di scuola ne sa un po' più di Lei!

Concludo ricordandole che il personale della scuola forse ha votato la Sua coalizione di governo, o forse no, ma l'hanno certamente votata migliaia di famiglie che hanno creduto, tra le altre cose, nell'illusione di una scuola migliore, per la quale non ci si limitasse, come sempre, a lesinare risorse, ma, al contrario, si proponessero investimenti degni di un paese del terzo millennio e non del terzo mondo. Ma visto che "la scuola è al collasso", uccidiamola pure, con il beneplacito dell'opinione pubblica, ovviamente.

Prof.ssa Mariateresa Cossolini
ASSOCIAZIONE DOCENTI PRECARI MILANO

Dibattito Ricci risponde a Sorti

Vorrei ringraziare il Prof. Pierluigi Sorti per l'attenzione prestata al mio pezzo "Per la battaglia d’autunno" (ADL, 29.8.08) e riprendere, compatibilmente con le mie frugali conoscenze macroeconomiche, le questioni e i dubbi da lui esposti nella lettera apparsa sull'ADL della settimana scorsa.

di Rodolfo Ricci *)
1) - la percentuale del 27% di sommerso stimata dall'FMI nel 2002 (ma riferita all'anno 2000) è naturalmente interna al PIL di quell'anno. PIL e RNL (Reddito nazionale lordo), debbono infatti equivalersi. E le stime possono essere fatte, come not o, per induzione dalla mole dei consumi e degli investimenti, qualora, come nel caso dell'economia sommersa, vengano a mancare indicatori oggettivi di produzione.

2) - ciò vale anche per la percentuale di evasione fiscale che, stimata intorno al 19-20% del PIL nei primi anni 2000, era pari nel 2006, secondo Padoa Schioppa, a circa 270 miliardi di Euro. Quindi, percentualmente di poco inferiore (circa il 17% del PIL). Questa seconda grandezza (evasione fiscale) è infatti da concepire come particolare utilizzo del reddito disponibile: solo in parte deriva dal sommerso; l'essenziale è capire che quella cifra percentuale non raggiunge, come dovrebbe, le casse dello Stato, tra i cui compiti prioritari, c'è quello di ridistribuire reddito. Magari raggiunge l'acquisto di titoli di debito pubblico. (Qui c'è il pacco, contropacco e contropaccotto!)

Si tratta evidentemente di stime, d i cui, in mancanza di altri dati prendiamo atto.
Ciò che è importante, trattandosi di insiemi di grandezze che ricomprendono tutti i sottoinsiemi, è quindi la distribuzione interna di tali grandezze: se riscontriamo circa il 27% di sommerso, vuol dire che su quella somma non vengono pagate (o solo in parte) imposte, tasse, ecc. allo Stato, e in gran parte ai lavoratori dipendenti come reddito differito (pensioni, ecc.). Tuttavia quel 27% di sommerso costituisce un elemento fondante della struttura economica del paese. E la somma non pagata resta in mano di qualcuno che la utilizzerà come meglio crede: consumi particolari, investimenti, ecc.

Dal punto di vista macroeconomico, considerando "neutralmente" il cosiddetto sistema-paese, non è detto che questo fatto sia del tutto negativo, a meno che gran parte di questi capitali "risparmiati" non se fugga all'estero.
Dal punto di vista della distribuzione del reddito, invece, trov eremo un forte arricchimento in termini patrimoniali da parte di alcuni ed un impoverimento da parte della moltitudine dei lavoratori.

In poche parole, si tratta solo e banalmente, del paradosso della media statistica: bisogna capire realmente chi è che si mangia i due polli e chi niente. Oppure, più nobilmente, di rivisitare l’antico concetto di lotta di classe (in questi ultimi trenta anni di esclusivo appannaggio dei più ricchi).

Personalmente, non so se ci sia un disegno soggettivo così cinico come quello italiano (o globale). Fatto è che i risultati sono sotto gli occhi di tutti: per l'Italia, le differenze riscontrabili con i paesi del nord Europa sono, sotto il profilo dell'equità, abissali e crescenti. Sul piano globale sono tragici.

Non so se la vera storia sia la storia dei servizi segreti o quella imposta dalle 500 famiglie che decidono le sorti del mondo. Neanche mi interessa più di tanto; ciò che interessa è che il trend inaugurato da ciò che per convenzione chiamiamo pensiero neo-liberista sta raggiungendo livelli insostenibili. E a ciò penso si debba porre un argine deciso e non procrastinabile.

Quanto alle sue riflessioni sull'Euro, pur avendone condiviso l'introduzione, credo non possiamo non registrare, oggi, (anche alla luce dei fallimenti di tutti i tentativi di carte costituzionali e approcci sociali) che si è trattato di una dinamica unilaterale finalizzata al rafforzamento dei vari capitali nazionali in un meta-capitale continentale in grado di competere negli scenari multipolari; purtroppo, la garanzia che ciò si tramutasse in oggettivi vantaggi sociali interni al continente non si è vista e non si vede; forse, date le caratteristiche multinazionali ed extraterritoriali del capitalismo globale, ciò continuerà a non vedersi in mancanza di interventi forti della politica.

Per quel poco che possiamo fare, far emergere queste contraddizioni ed evidenziare il carattere ideologico del monetarismo e del neoliberismo, può contribuire a ricostruire una classe politica a sinistra, più cosciente delle situazioni reali e del fatto che sempre di uomini e donne in carne ed ossa, si tratta e che non c’è niente, ma proprio niente che sia neutrale ed equidistante (o equivicino).

Come la s toria della scienza e della filosofia degli ultimi due secoli ha largamente dimostrato.
Resta un campo aperto di indagine e di azione capire con quali efficaci linguaggi e concrete pratiche ciò possa essere ricordato e diffuso alla classe politica e ai cittadini oggi conquistati da un’altra egemonia. (Che tuttavia, come il socialismo reale, sappiamo che ha anch’essa fallito).

*) Segretario generale FIEI, Roma

lunedì 8 settembre 2008

Narducci sull'Argentina e il Club di Parigi

L’annuncio di Cristina Fernandez sul rimborso al Club di Parigi è una buona credenziale per l’economia argentina.
Franco Narducci, Vice Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati italiana ha espresso grande soddisfazione per l’impegno del Governo argentino di onorare le sue esposizioni finanziarie verso il Club di Parigi, annunciato a sorpresa dal Presidente Cristina Fernadez. “Si tratta di un passo avanti importante e apprezziamo l’atteggiamento propositivo che si coglie nelle dichiarazioni del Presidente. L’estinzione dei debiti contratti con il Club di Parigi – ha proseguito l’On. Narducci - accrescerà la fiducia a livello internazionale verso il sistema economico e istituzionale dell’Argentina, e in questa fase i mercati finanziari mondiali guardano con estrema attenzione agli indicatori che “misurano” il capitale fiducia”. Il Governo argentino rimborserà i crediti vantati da Germania, Giappone, Olanda, Italia (in misura dell’8%), Spagna e Stati Uniti, in pratica i Paesi del Club di Parigi creditori verso l’Argentina dopo il ben noto default del 2001. I 6,7 miliardi di dollari occorrenti per saldare i debiti con il Club di Parigi usciranno dalle riserve valutarie disponibili presso la Banca Centrale.
“Sono convinto che l’azione del Governo a farsi carico degli impegni e degli obblighi finanziari internazionali sia fondamentale per migliorare il posizionamento dell’Argentina sotto il profilo dell’affidabilità occorrente per rilanciare la crescita dell’economia e mettere a frutto le sue potenzialità. Mi auguro - ha concluso il Vice Presidente della Commissione affari esteri italiana - che l’atteggiamento dimostrato dal Presidente verso il Club di Parigi, possa contribuire anche a riaprire una via negoziale con i cittadini stranieri (tra cui 200 mila italiani) possessori di obbligazioni argentine, colpiti dal default del 2001”.

venerdì 29 agosto 2008

Ricontrattare gli interessi sul debito, abolire la ritenuta alla fonte per il lavoro dipendente.

Per la battaglia d'autunno
Due obiettivi per la battaglia d'autunno:
di Rodolfo Ricci *)
1. Nella sua ultima discussa performance via audio in Piazza Navona Beppe Grillo ha ricordato una cosa nota, ma che viene continuamente fraintesa: l'Italia ha un debito pubblico pari a oltre 1.600 miliardi di Euro e gli italiani (non tutti ovviamente) pagano circa 80 miliardi di Euro annui di interessi su questo debito. Circa l'80% del debito è composto da titoli emessi dallo Stato, sia sul mercato interno (BOT, CTZ, CCT, BTP e BTP�), sia sul mercato estero (per ca. il 55%: programmi Global, MTN e Carta commerciale).
Ogni anno la cosiddetta Legge Finanziaria ha il precipuo obiettivo (occultato da una sapiente regia politico-mediatica) di reperire i soldi per pagare questi interessi.
Il Ministro dell'economia Giulio Tremonti ha ricordato questo fatto qualche settimana fa nel suo intervento alla Camera, specificando che si tratta quantitativamente del "terzo debito pubblico al mondo, pur non essendo, l'Italia, il terzo paese per PIL prodotto, ma solo il settimo".
(Noi avremmo aggiunto che invece continua ad essere settimo per spesa militare assoluta e che negli ultimi due anni essa è aumentata del 20%. La spesa militare pro-capite dell'Italia supera addirittura di 121 dollari quella tedesca: 568 USD a 447 USD!)
In un intervento nel suo blog, Grillo ipotizza tra il serio ed il faceto che questa somma prodottasi negli ultimi tre decenni (ma in particolare negli ultimi due), equivalga alla somma delle tangenti fluite tra il sistema politico e quello economico e viceversa, secondo una regola aurea che prevede di fare "una cresta" variabile fino al 30% , sui finanziamenti che vanno dal pubblico al privato.
Non so se la regola fosse così aurea o ferrea; ma forse c'è anche dell'altro e di più decisivo: è noto che l'Italia è il paese in cui la quota di PIL prodotta dall'economia sommersa è pari -secondo uno studio dell'FMI del 2002-, a circa il 27%. (10% circa per USA, 9% Svizzera). La percentuale di evasione fiscale complessiva è stimata annualmente intorno al 19-20% del PIL, cioè una cifra che si aggirava, secondo Padoa-Schioppa, intorno ai 270 miliardi di Euro nel 2006.
A fronte di queste cifre nelle quali ci dibattiamo da decenni, c'è da chiedersi, dopo tanto discutere, se non sia proprio questa la caratteristica specifica del Sistema Italia e il suo unico vero "punto di forza".
La fine della possibilità di svalutazione della Lira dopo l'ingresso nell'Euro, che costituiva il più potente strumento di politica economica italiana per garantire la concorrenza internazionale di un'economia scarsamente finanziarizzata (rispetto ad esempio a UK) e con una ancora forte presenza del settore produttivo industriale orientato fortemente all'export, ha reso più complessa la gestione della competitività internazionale del sistema, nonché quella delle politiche attive e di ridistribuzione.
Da allora, in particolare (ma l'operazione era strutturalmente iniziata negli anni '80 con l'abolizione della scala mobile), il raggiungimento di adeguati livelli di competitività internazionale viene conseguito con la compressione di salari e stipendi, anche per il basso grado di produttività del sistema e di una competitività che si gioca prevalentemente in settori produttivi a relativa alta intensità di manodopera e parallelo basso grado di innovazione tecnologica rispetto ad altre economie sviluppate.
Ma ciò non sembra, da solo, sufficiente a garantire la permanenza di profitti adeguati per il capitalismo nazionale (fatto in gran parte di PMI); l'altra condizione è per l'appunto l'evasione fiscale, che consente potenzialmente (a parte il lavoro dipendente per il quale la trattenute fiscali vengono operate alla fonte) a tutte le altre figure produttive, in misura minore o maggiore, di raggiungere punti di equilibrio reddituale e di profitti ritenuti congrui e soddisfacenti.
Si potrebbe affermare che l'evasione fiscale ha in un certo senso, sostituito la pratica della svalutazione competitiva già in regime SME ed è proseguita alla grande dopo l'introduzione dell'Euro, con il medesimo obiettivo di abbassare i costi di produzione nella tenzone internazionale.
Ciò che non è possibile fare a causa della scarsa propensione all'innovazione tecnologica, lo si è fatto e lo si fa quindi a spese dello Stato e dei lavoratori: Pacco e Contropacco !
Si deve aggiungere, ma questo è in parte un altro discorso, un'altra caratteristica del sistema Italia costituito dall'economica criminale (mafie, camorre e 'ndranghete varie) che fattura intorno ai 100 miliardi di Euro all'anno, vale a dire circa il 6% del PIL italiano e ne costituisce, ovviamente, parte integrante e "punta di eccellenza" nello scenario internazionale.
I grandi flussi finanziari e di ricomposizione del reddito nazionale avvenuti negli ultimi 20 anni sono facilmente riassumibili da queste cifre; si è trattato cioè di un enorme travaso di ricchezza nell'ordine di 3.000 ? 4.000 ? miliardi Euro che sono stati spostati dal lavoro dipendente e subalterno al capitale, dallo Stato al privato e, per quanto riguarda il sistema tangentizio, dallo Stato alla politica.
Al di là di considerazioni etiche si è trattato quindi del modo specifico in cui il capitalismo italiano ha potuto competere sul piano internazionale nella dimensione della globalizzazione, salvaguardando quella parte di capitale nazionale subalterno e relativamente arretrato la cui capacità di stare sul mercato poteva essere garantita solo dalla capacità di compressione del costo del lavoro (sia esso lavoro dipendente che, in parte, di quello che chiamiamo impropriamente lavoro autonomo, ma che in misura considerevole è lavoro dipendente "decontrattualizzato"). Dal punto di vista dell'impresa si trattava in effetti di comprimere tutto ciò che, in quanto lavoro, era ritenuto costo fisso; e, allo stesso tempo, di trasformare una parte consistente di tale costo fisso in costo variabile, attraverso la pratica dell'esternalizzazione e del decentramento produttivo che ha creato l'imponente massa di artigiani, micro imprenditori, partite IVA, COCOCO, COCOPRO, ecc.
Ciò ha comportato, in un certo senso, la costruzione, dentro i confini nazionali, di un pezzo di terzo mondo in cui il livello di salari, diritti, ecc. fosse analogo, anche se certamente non comparabile in linea assoluta con quello dei PVS, ma che disponesse allo stesso tempo, del valore aggiunto di un sistema infrastrutturale molto più avanzato di quello dei PVS.
Le recenti ipotesi di nuovi modelli di contratto su cui verte la discussione sul futuro delle relazioni industriali nel nostro paese, possono essere lette dentro la permanenza di questo scenario.
In questo pezzo di "terzo mondo" dentro i confini nazionali non hanno operato solo operai e lavoratori dipendenti, indigeni e immigrati, precari, sottopagati e con meno diritti, ma anche una infinità dei lavoratori "decontrattualizzati" autonomi, piccoli e piccolissimi imprenditori i quali nella lunga catena delle commesse al ribasso che, emanando dal vertice della grande impresa multinazionale, percorrono come in una via crucis, tutte le stazioni di un'intermediazione spregiudicata e cinica i cui effetti più visibili sono le migliaia di morti bianche che oramai non coinvolgono più esclusivamente i lavoratori dipendenti, ma anche piccoli e piccolissimi imprenditori il cui status di liberi operatori del mercato è sempre più spesso ed oggettivamente, un titolo del tutto posticcio.

2. Tuttavia questa analisi non appare ancora soddisfacentemente esaustiva, poiché si deve ricordare che negli ultimi 3 decenni il fenomeno della crescita dell'economia sommersa ed informale è riscontrabile anche in tutti gli altri paesi avanzati: nell'arco degli ultimi venti anni, esso è praticamente raddoppiato nei paesi OCSE, passando dal 10 al 20% medio (secondo una stima del FMI del 2002), con crescite rapidissime nel decennio 1990-2000, anche evidenziato in questo lasso di tempo in paesi come Francia (dal 9% al 15%), Germania (dall'11.7% al 16,3%), Spagna (dal 16% al 22,5%) e Italia (dal 22.7% al 27%), appunto.
Se il trend di crescita esponenziale dell'economia sommersa (e della conseguente parallela evasione fiscale) non è solo italiana, seppure in proporzioni differenti, c'è da dedurne che si tratta di un fenomeno strutturale della fase che abbiamo e stiamo attraversando. Questa fase è quella della cosiddetta globalizzazione imperniata, retta ed orientata dall'ideologia neoliberista.
Se ci siamo arrischiati a ipotizzare una stima del travaso di reddito da mondo del lavoro a capitale in Italia possiamo solo immaginare quali siano state le dimensioni del travaso di reddito a livello globale. Le contraddizioni e i conflitti che abbiamo di fronte, comprese secessioni, guerre, fame, povertà e miseria fuori e dentro i singoli paesi, ne sono un corollario.
Il modello applicato universalmente dal neoliberismo aveva già fornito un esempio lampante degli effetti economico-sociali che poteva produrre con le successive crisi che hanno coinvolto successivamente grandi paesi come Messico, Turchia, Argentina, passando per Russia e NICS asiatici negli anni '90 fino al 2002. Oggi ne fornisce di ulteriori, addirittura di più ampli e impressionanti, a partire dal vertiginoso aumento dei prezzi alimentari che diventano, assieme al petrolio e alle altre materie prime, i beni sostitutivi su cui scatenare, senza alcun ritegno, le giostre degli strumenti derivati dopo il crollo dei mutui sub-prime.
La disponibilità di enormi capitali nelle mani dei grandi istituti finanziari e dell'impresa multinazionale non si è tradotta in questo trentennio in corrispondenti investimenti globali, ma piuttosto è stata giocata nelle transazioni finanziarie e borsistiche sui nuovi strumenti di investimento "derivati", da una parte, e in consumi di beni di lusso, dall'altra, cosa che ha fatto affermare a diversi economisti che, con l'approccio neoliberista, viene minato ed intaccato alla radice il meccanismo classico dell'accumulazione capitalistica, secondo cui il capitale, per riprodursi, deve trasformarsi in investimenti produttivi e in beni di consumo di massa. Il punto di equilibrio del capitalismo (e quindi del mercato) è solo nell'equilibrio di queste variabili. Fuori di questo punto di equilibrio, il capitalismo deve essere salvato dallo Stato, cosa che in effetti sta accadendo negli ultimi mesi con le enormi iniezioni di liquidità delle grandi banche centrali.
Se gli investimenti produttivi si sono invece percentualmente ridotti e il consumo dei lavoratori e delle famiglie, comprese le classi medie, si è anche decisamente contratto, restano -e in effetti risultano aumentati- solo gli investimenti in titoli e il consumo delle classi elevate.
In questo è consistita e consiste la lotta di classe di fine ed inizio millennio.

3. Abbiamo visto che tra i paesi avanzati la posizione italiana ha una sua originalità: seppure i trends nazionali sono del tutto analoghi a quelli degli altri paesi, i modi e la qualità con cui essi si attuano nel nostro paese appaiono più radicali ed ovviamente legati alla specifica composizione interna del capitale e alla sua stratificazione sociale e territoriale, ma anche alla sua specifica cultura sociale e politica.
Dinamiche e squilibri nord-sud, relativamente basso livello tecnologico della composizione organica del capitale, forte presenza di PMI e dimensione ridotta delle singole imprese, livelli scadenti di scolarizzazione e formazione, scarsa efficienza delle Pubblica Amministrazione, ecc., forti egemonie mediatico-culturali (Media privati e Vaticano), pervasività dell'economia criminale, autoreferenzialità della politica fino al consolidamento della Casta, corruzione accentuata, debolezza del sistema giudiziario, ecc., fanno dell'Italia un paese del tutto particolare nello scenario dei paesi avanzati neoliberisti.
La capacità concorrenziale del sistema paese nelle dinamiche competitive con gli altri sistemi-paese ne risulta, nel suo insieme, fortemente indebolita.
Si potrebbe dire, in questo senso, che la percentuale di controllo (o di azionariato) del sistema globale neoliberista da parte dell'Italia è al di sotto di quanto potenzialmente possibile ove il sistema paese funzionasse a dovere. Ma ciò non toglie il fatto che esso produca delle punte di "eccellenza" globali, con le sue banche, le multinazionali dell'energia, le sue oligarchie speculative, i suoi apparati criminali, ecc., in grado di condividere pienamente le vette della competitività globale.
La permanenza nei vertici internazionali di questi poteri nostrani non particolarmente avanzati quanto ad efficacia produttiva, riproduttiva ed organizzativa, può tuttavia sussistere in funzione della loro capacità di penetrazione e di orientamento delle leadership politico-culturali, quindi dello Stato, e di controllo mediatico delle masse dei cittadini, che consenta loro la perpetuazione di elevati livelli di sfruttamento del lavoro, di contrazione salariale e del sistema dei diritti, più e più a fondo di quanto avvenga in sistemi-paese meno sperequati, come quelli nord europei.
Questo è stato (ed è) l'obiettivo perseguito negli ultimi trenta anni dal complesso economico-politico-mediatico-culturale, che è riuscito a ricostruire una sua potente, diffusa e trasversale egemonia dopo il decennio di protagonismo sociale 1968-1978.
L'egemonia globale neoliberista per convenzione di emanazione USA, ma non solo, si è attuata, in Italia, nell'accordo e scambio geostrategico con tali poteri. L'aumentato ruolo dell'Italia come contractor internazionale di missioni e presenza militare nel mondo per conto dei nuovi assetti strategici, costituisce una novità (perseguita da destra e da "sinistra") che rientra in questo patto.
E' per tutto ciò che la situazione italiana manifesta oggi, dal punto di vista della riflessione e dell'azione politica, caratteri di difficile permeabilità analitica e di lettura politica coerente, oltrechè di permanenti processi aggregativi e disgregativi in misura molto maggiore rispetto ad altre situazioni nazionali in cui la "purezza" neoliberista si dispiega in modo più lineare e leggibile.
Ciò non inficia un altro trend comune del neoliberismo mondiale che è consistito e consiste nella acquisizione degli apparati politico-sociali delle sinistre storiche dentro l'orbita del "pensiero unico" (Labour in UK, PD in Italia), garantendo loro una ipotetica funzione di gestione dello "spazio nazionale / sistema paese", obiettivamente e strutturalmente limitato ad alcuni settori, in una prospettiva neonazionalistica di ricerca di maggiore efficienza di sistema e in una ottica �del tutto disorientante- di reciproca competizione tra sistemi-paese dentro i paletti neoliberisti, i quali per loro natura e come il termine stesso indica, sono in linea di massima disinteressati ai confini nazionali se non per la funzione di gendarme internazionale del sistema che alcuni singoli paesi debbono assicurare e per la funzione di riproduzione ideologica e controllo culturale che invece, tutti, ognuno secondo le proprie possibilità, debbono assolvere.
In questa prospettiva è giocoforza che i sistemi di welfare e la spesa pubblica nazionale debbano essere compressi e ridotti poiché tolgono risorse al "libero mercato": tutto ciò che è privatizzabile con vantaggio (dai fondi previdenziali, ai servizi municipali, ai beni comuni), deve essere effettivamente e in progressiva misura privatizzato, poiché ciò solo garantisce l'afflusso di nuovi capitali da immettere nel sistema circolatorio del neoliberismo, come unica condizione della sua riproduzione che è sempre più sganciata dall'effettiva capacità di produrre valore!

4. Tuttavia le "resistenze" italiane a questo processo di trasferimento dello Stato in mani private continuano ad essere consistenti, sia per la specificità degli equilibrii imperfetti tra i vari poteri forti citati che pur costituendo sistema, dentro di esso si contrastano vicendevolmente, sia per una storica cultura di critica radicale degli squilibrii nazionali che pur nell'inquinamento ideale e culturale operato dai media, continua a persistere trovando esiti e sbocchi certamente contraddittori quanto imprevisti sul piano politico e che sono in grado di produrre fenomeni sociali e politici che possono variare dalla Lega Nord, ai movimenti per le autonomie che riciclano mai sopiti, quanto antistorici e surrettizi sentimenti identitari, o, sul fronte della partecipazione di base, dai movimenti di resistenza territoriale alle scelte del neoliberismo continentale (No Tav) e alla sua necessità di acquisire ulteriore spazi per la funzione di controllo militare dell'area mediterranea e mediorientale (No Dal Molin), ai girotondi e ai loro portavoce dello spettacolo che insistono sull'aspetto di controllo mediatico-culturale e del tentativo di riduzione dell'autonomia del sistema giudiziario, alla cosiddetta antipolitica del "que se vajan todos" contro la trasversale Casta, a pezzi di sindacato, ai movimenti di resistenza sociale antagonisti e contro la globalizzazione neoliberista.
Tutto ciò conferma il permanere di un forte potenziale critico del paese, che tuttavia risulta frammentato e dis-orientato da un uso spregiudicato dei media e dai tentativi di ricomposizione sociale strumentale operata dai poteri forti attraverso il massaggio delle leadership politiche e in accordo con il neoliberismo mondiale.
Ad oggi questa operazione di mediazione e di ricomposizione politica è riuscita meglio alla destra con Berlusconi e il suo canovaccio di Rinascita nazionale, attraverso un patto e uno scambio che ha valorizzato come compatibili e necessitate, libertà d'impresa ed evasione fiscale, economia sommersa e tentazioni autonomistiche, spesa sociale e riduzione del welfare, politiche di sicurezza e xenofobia razzista, ecc.
Molto meno al "partito delle tasse" (il centrosinistra) che ha riproposto una opzione lineare e rigorosa di governo conservatore ligio al dettato di Maastricht che tentava di compendiare privatizzazioni, più mercato e meno Stato, riduzione dell'evasione, "modernizzazione" del sistema di Welfare per l'ignoto futuro delle future generazioni, riducendo l'attuale in relazione alle sue compatibilità di finanziamento a venire, controllo e riduzione della spesa pubblica per rientrare nei famosi parametri, riduzione del debito, incentivazione della produttività dell'impresa attraverso il cuneo fiscale, ecc..
Entrambe le soluzioni e gli approcci, dopo le elezioni di Aprile 2008, sembrano tuttavia essere venute al capolinea. Le notevoli differenze di lettura e di impostazione che si avvertono oggi dentro gli stessi schieramenti politici, per nulla omogenei, e che rappresentano ormai trasversalmente le classi o quel che ne rimane, manifesteranno a breve termine tutte le loro incompatibilità.
In nessuna delle stagioni di governo di centro destra e di centro sinistra si è infatti ridistribuito qualcosa di significativo; negli ultimi quindici anni, il potere di acquisto dei salari si è ridotto di quasi il 40%. Oggi i salari italiani sono il 30% al di sotto della media europea. Il tasso attuale di inflazione (4% medio, ma molto più alta per la classi povere che si trovano costrette a ridurre l'acquisto di beni alimentari di prima necessità aumentate del 10-15% in un solo anno), porterà nell'arco di due anni il poter di acquisto dei lavoratori ben sotto il 50% di quello dell'inizio degli anni '90.
L'opzione del federalismo fiscale sostenuto da venti anni dalla Lega e con adepti importanti nel PD, la promessa bipartisan di riduzione delle tasse, i recenti approcci no-global e di tassazione mirata (più che altro partita di giro) dei petrolieri di Tremonti, sono destinati a non acquisire il consenso politico necessario alla loro approvazione, in un contesto reso ulteriormente pericolante dall'arrivo della grande crisi economica che è la crisi storica del neoliberismo.
In effetti c'era e c'è ben poco da ridistribuire; il reddito nazionale infatti, al netto di un'evasione annua di oltre 250 miliardi di Euro, è inferiore di 80 miliardi di Euro a quello che sarebbe disponibile senza l'erosione degli interessi sul debito. (Come accennato l'indebitamento pubblico avviene sul mercato estero e su quello interno; su quest'ultimo versante, accade, curiosamente, che una quota consistente di titoli di stato vengano acquistati proprio dalla componente degli evasori (grandi, medi e piccoli) utilizzando le somme evase al fisco, con lo strabiliante risultato che lo Stato �i cittadini lavoratori- ci rimette due volte: prima non incassando la quota di tasse legittima, poi, dovendo anche pagarci sopra gli interessi (tassati solo al 12%, diversamente dal 20% applicato in Europa). Pacco, contropacco e contropaccotto!)
La riduzione dei mercati di sbocco internazionale per le nostre merci che si manifesterà in tutta la sua evidenza nei prossimi mesi e nel prossimo anno, la crescita dell'inflazione e le politiche di contenimento operate dalla BCE con l'aumento dei tassi, lo sconvolgimento delle ragioni di scambio tra Paesi avanzati e PVS produttori di materie prime a favore di questi ultimi, renderanno molto critica la situazione.
Le recenti avvisaglie di grandi alleanze si ripropongono pur con nuove variabili. Ma sono sempre meno credibili, soprattutto a sinistra, dove lo zoccolo duro del PD comincia a manifestare sofferenza e distacco da una prospettiva e da una gestione che manifesta tutta la sua insufficienza e il suo carattere essenzialmente mediatico ed insipido. Prova ne è che la famosa manifestazione romana del No Cav 2, pur nell'oscuramento e falsificazione generalizzata dei media, ha riscontrato un gradimento di oltre il 30% dell'elettorato del centro sinistra, secondo il guru dei sondaggi Renato Mannheimer.
Le soluzioni proposte dai due schieramenti paiono entrambe già fallite essenzialmente per la manifestata incapacità di effettiva ridistribuzione dei redditi da 15 anni a questa parte a causa di vincoli strutturali di un'economia in declino e che si regge in gran parte sul sommerso e dei vincoli esterni relativi al debito.

5. La questione può così essere riassunta: o l'aumento di disponibilità di risorse attraverso la riduzione massiccia dell'evasione fiscale è compatibile con la stessa sopravvivenza di una struttura produttiva del paese (che però sappiamo derivare per il 27% del PIL dal sommerso) e con la sua capacità di stare sul mercato globale, e quindi costituisce un obiettivo realistico da attuare prioritariamente, oppure, se ciò non è praticabile o lo è solo in piccola parte, bisogna parallelamente andare ad una ricontrattazione del debito che liberi almeno una quota di risorse degli 80 miliardi di interesse, da destinare ai consumi interni, agli investimenti e al welfare.
Mentre la prima soluzione non mette in crisi il dogma del libero mercato, la seconda sì; per questo pare più difficile da affermare o solo da pensare. Ma, come già si è visto, il mercato non è libero, né autosufficiente: fiumi di miliardi di Euro e di Dollari dei risparmiatori corrono da mesi dalle banche centrali a sostenere la rete criminale della finanza mondiale perché è su di essa che si regge tutto l'almanacco del neo-liberismo. Ed inoltre, abbiamo visto che il crescere dell'economica sommersa e quindi di un'alta evasione fiscale è stato ed è un fenomeno comune ai paesi industrializzati e in buona misura incentivato dal modello di globalizzazione neoliberista.
Una politica centrata sul recupero di risorse attraverso la riduzione dell'evasione fiscale risulta poi ulteriormente invendibile sul piano del consenso, in un momento di accentuata e crescente crisi. Al contrario è più difficilmente contrastabile una proposta che rimetta almeno su un piano di pari condizioni fiscali lavoro salariato e dipendente e lavoro autonomo e d'impresa.
Terminata la stagione balneare dei congressi delle sinistre extraparlamentari, le cui dinamiche e contenuti coinvolgono alcune migliaia di cittadini in un paesi di 60 milioni di abitanti, qualcuno a sinistra dovrà occuparsi della materia. Né entusiasma la tenzone tra tasso di inflazione programmata (1,7% per il Governo) e di inflazione reale (3,8-4,2% secondo l'Istat) in cui sono stazionano i vertici sindacali, nel momento in cui crollano di ben oltre il 10% i consumi di pane, pasta, indumenti fino a quelli di bibite e gelati nella torrida estate. Altro che detassazione degli straordinari!
A meno che non si voglia che i temi dell'opposizione sociale non trovino il maggiore interprete nazionale in Giulio Tremonti, secondo una tentazione classica dell'autoritarismo che si costruisce la propria ala destra e sinistra, dovremmo impegnarci a costruire un fronte sociale e politico intorno a due obiettivi: uno, la ricontrattazione degli interessi sul debito, prima che sia troppo tardi. Argentina docet in tempi, dinamiche ed effetti. Due, la cancellazione dell'imposta alla fonte per il lavoro dipendente, poiché è costituzionalmente stabilito che tutti i cittadini debbano disporre di pari condizioni ed opportunità anche su un sistema di detrazioni e di tempistica del versamento delle imposte sul reddito del tutto analogo a quello utilizzato da lavoro autonomo e impresa.
Ai timorosi e alle Cassandre concentrati su cosa di negativo ne possa derivare, bisogna ricordare quello che è già accaduto: l'attuale sistema ha infatti consentito che il lavoro dipendente abbia in maniera precipua finanziato lo Stato Sociale anche per la parte di popolazione nazionale che ha evaso e, allo stesso tempo, abbia finanziato l'esborso di enormi somme di interessi andati in buona parte nelle tasche di evasori autoctoni e istituti finanziari internazionali. Il lavoro dipendente, quello precario e sottopagato, il lavoro autonomo "de-salarizzato" hanno cioè finanziato loro malgrado l'ascesa e il consolidamento del neoliberismo da una parte e hanno puntellato, dall'altra, un sistema economico nazionale che, oggi è evidente, fa acqua da tutte le parti.
Se non è ancora ora di invertire la direzione di questi flussi, è almeno il momento di bloccarli. Poi si ridiscuta pure di un moderno e sostenibile welfare, di nuove relazioni industriali, di federalismo, eccetera eccetera.

*) Segretario nazionale Federazione Italiana Emigrazione e Immigrazione (Filef-FIEI)

mercoledì 27 agosto 2008

Dagli Abruzzi, ricordando Ignazio Silone (1900-1978)

di Michele Ferrante
Il 22 agosto 1978 si spegneva a Ginevra Ignazio Silone, ma il suo vero nome era Secondino Tranquilli, nato a Pescina il 1^ maggio 1900.

Nella intensa attività politica nel partito comunista con l’avvento del fascismo dovette fuggire all’estero. Nel 1923 detenuto nel carcere di Barcellona usava lo pseudomino di Ignazio Silone per firmare i suoi articoli inviati clandestinamente alla stampa. Silone, perché ricordava Poppedius Silo, il capo della resistenza dei Marsi nella guerra degli italici contro Roma.

Nel 1927 partecipò con Togliatti alle riunioni del Komintern a Mosca che segnarono l’espulsione di Trotski e Zinoviev dal partito comunista. Dopo questi eventi con i quali si preannunciava il totalitarismo staliniano, Silone decise di uscire dal partito comunista e di dedicarsi all’attività letteraria in Svizzera, dove scrisse numerosi libri famosi come Fontamara, Vino e pane, Il seme sotto la neve, La scuola dei dittatori. Nel dopoguerra, tornato in Italia, pubblicò Una manciata di more, Il segreto di Luca, La volpe e le camelie, L’avventura di un povero cristiano, Severina, senza dimenticare Uscita di sicurezza. Due ampi volumi di romanzi e saggi siloniani sono ora raccolti da Bruno Falcetto nei Meridiani Mondadori.

Noi abruzzesi consideriamo Silone come un nostro maestro perché ha portato i cosiddetti “cafoni” sulla scena internazionale, perché ha tenuto alto il primato della coscienza sopra ogni istituzione o partito, perché ha difeso i valori della libertà e di un cristianesimo originale. Silone osava definirsi “Socialista senza partito, cristiano senza chiesa”. Noi lo ricordiamo soprattutto come scrittore legato alla sua terra d’origine ma che pubblica in esilio e in lingua tedesca il suo primo grande romanzo, Fontamara, apparso nell'aprile del 1933 a Zurigo.

Dai letterati d'Oltralpe venne definito “poeta vero”, “socialista sincero”, “scrittore eccellente”.
Ricordo per concludere una frase di Silone a proposito del progresso: “Vi saranno sempre gruppi di uomini che non si accontentano del bere e del mangiare. La storia dell’uomo è la storia del suo anticonformismo, ed è ciò che la distingue dalla storia naturale…Nessun benessere potrà mai distrarre la totalità degli uomini dal confronto tra le proprie aspirazioni e la fragilità dell’esistenza”.

Si salvi chi sa

E se sotto l’ombrellone, oltre ai gialli e alle riviste di gossip, gli italiani si fossero portati anche qualche testo di finanza per passare il Ferragosto? Lamberto Cardia, presidente della Consob, ne sarebbe felice perche’ in tema di risparmio gli italiani hanno bisogno di cultura finanziaria.

di M. Sironi
E se sotto l’ombrellone, oltre ai gialli e alle riviste di gossip, gli italiani si fossero portati anche qualche testo di finanza per passare il Ferragosto? Lamberto Cardia, presidente della Consob, ne sarebbe felice perche’ "le iniziative mirate di educazione finanziaria" – recita testualmente il suo discorso del 14 luglio all’Incontro Annuale con la comunita’ finanziaria - "sono diventate una priorita’ della Consob".

Oltre a preannunciare interventi in questa direzione, Cardia si augura per di piu’ coinvolgimenti dei cittadini "sin dalla piu’ giovane eta’". Ecco dunque i compiti delle vacanze per grandi e piccini che il presidente della Commissione ci assegna: meglio i fondi di investimento o le polizze, meglio le polizze o i CCT, meglio i CCT o i soldi sotto il materasso? Il problema esiste, ed anzi si fa sempre piu’ serio.

E’ di giovedi’ 7 agosto il dato di Assogestioni sull’ennesimo saldo negativo della raccolta fondi: in luglio il deflusso e’ stato di 13,5 miliardi, cioe’ 84 miliardi in totale nel 2008 a prosecuzione di un trend discendente iniziato nel 2006. E francamente, viste le performance dei nostri fondi comuni, non c’è da stupirsi.

Il fatto e’ che i risparmiatori fuggono dal risparmio gestito, spesso uscendone in perdita, attratti dal fascino di prodotti come le polizze vita e le obbligazioni bancarie che, "se non altro", assicurano il rimborso del capitale. Le obbligazioni bancarie, strutturate e non, hanno gia’ battuto i fondi nelle preferenze delle famiglie italiane, nove su cento delle quali le hanno messe in portafoglio, contro le sette su cento che optano per i fondi comuni.

Purtroppo, se gli capitasse di dover liquidare il suo investimento prima della scadenza, il risparmiatore scoprirebbe che l'unico acquirente possibile dei prodotti d'investimento bancari e’, con tutta probabilita’, quella stessa banca che quei prodotti gli ha venduto... e, ovviamente, il prezzo di riacquisto lo decide lei.

Poco cambia se si tratta di obbligazioni quotate, perche’ le quotazioni sul MOT – il mercato appositamente gestito da Borsa Italiana - sono sempre piu’ basse del prezzo di emissione, con sconti che vanno dal 5% al 15%.

A Cardia allora non resta che richiamare gli intermediari "ad una particolare diligenza nel proporre investimenti per i quali non sono disponibili mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidita’ e di trasparenza". E anche sulla trasparenza ci sarebbe da dire, specie in tema di polizze e obbligazioni strutturate (quelle cioe’ che pagano cedole legate all’andamento degli indici di Borsa, o delle valute, o dei tassi, o altri svariati parametri detti "sottostanti").

A fronte dell’impegno a pagare cedole tanto piu’ pingui quanto meglio performa il sottostante, i prezzi di emissione di questi prodotti complessi sono gravati da costi che arrivano fino al 9%. Né e’ semplice capirne le ragioni. L’abbondante documentazione fornita al momento della sottoscrizione e’ altrettanto complessa. Insomma, salvo fasi di boom – e purtroppo non la stiamo attraversando – e’ ben difficile che qualcuno si arricchisca con i prodotti strutturati.

Il Rapporto Annuale della Consob per il 2007 lo dice chiaramente: "Quasi il 75% delle obbligazioni bancarie, sia ordinarie che strutturate, hanno rendimenti a scadenza inferiori a quelli dei BTP di analoga vita residua". E questo sopratutto a causa del loro "mispricing", che in parole povere significa che le spese e le commissioni incidono troppo. Per fortuna i BTP e i titoli di Stato in genere sono ancora i piu’ amati dagli italiani, ed entrano nel portafoglio di tredici famiglie su cento. Peccato pero’ che le loro cedole riescano a malapena a battere l’inflazione (e figurarsi le obbligazioni e le polizze).

Allora: che fare? Studiare, confrontare, valutare, dice la Consob. Anche perche’ le capacita’ delle societa’ di rating - quelle cioe’ che danno il "voto" ad azioni e obbligazioni suggerendone l’acquisto o la vendita - "sono state messe in discussione a ragion veduta", sia per quanto diguarda i giudizi espressi, sia per la validita’ dei modelli di assegnazione dei voti, che possono "risultare distorti da conflitti di interesse". E' sempre Cardia a dirlo, nel citato discorso del 14 luglio. Insomma, si salvi chi sa.