martedì 29 novembre 2011

Giorni di neve, giorni di sole

Siamo i gemelli Fabrizio e Nicola Valsecchi, autori del libro "Giorni di neve, giorni di sole".

Il nostro terzo romanzo narra una vicenda realmente accaduta: la storia di Alfonso Dell'Orto, che in pieno regime fascista, nel 1935, con la madre e la sorella, parte per l'Argentina dove suo padre Augusto era emigrato per motivi politici e lavorativi. Sullo sfondo l'Italia del duce, in cui la libertà era negata e c'era una tessera per tutto, anche per pensare. Quel paese lontano appare loro come la terra del sole e della speranza, così come per moltissimi nostri connazionali. In Argentina, tra sforzi, rinunce e sacrifici, Alfonso riesce a costruirsi un futuro e una posizione, sposa una connazionale e forma una famiglia con quattro figli. Purtroppo altre dittature si frappongono sul suo cammino. E' il 1976 quando il regime militare dei generali e di Jorge Rafael Videla apre il periodo dell'obediencia debida e del terrorismo di stato, che ha provocato 30.000 desaparecidos, vittime su cui è sceso il silenzio complice di molti stati e anche della chiesa. La figlia
maggiore di Alfonso, Patricia (21 anni), è tra i primi desaparecidos insieme al marito Ambrosio (23) con cui svolgeva un lavoro sociale tra i poveri del barrio. Lasciano sola al mondo una bimba di 25 giorni, Mariana, a cui Alfonso in età ormai matura fa da padre. Non erano militanti attivi.

Dell'Orto vive la sua tragedia senza mai perdere la speranza di ritrovare la figlia. Quando vengono riaperti i processi nel 1999, ecco la triste verità della morte di Patricia, grazie alla deposizione del testimone oculare Julio Lopez, desaparecido per la seconda volta il 18 settembre 2006 dopo aver fatto i nomi dei colpevoli.

Alfonso trova il modo per fare rivivere la memoria della figlia, riabbracciando dopo 70 anni il proprio paese natale, lasciando un quadro di Patricia ( la sola a non aver conosciuto Piazza Santo Stefano, frazione di Cernobbio), nella Cooperativa Sociale del paese costruita anche da suo nonno Giovanni, per legare idealmente i principi di libertà, verità, giustizia e democrazia in cui i suoi cari credevano.

Il libro vanta la prefazione di Adolfo Perez Esquivel, Premio Nobel per la Pace 1980 "per la sua attività a favore dei poveri e dei non violenti" e la postfazione di Gianni Tognoni, Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

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Ringraziando per l'attenzione porgiamo cordiali saluti

Fabrizio e Nicola Valsecchi

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P.S.: alleghiamo recensione di Scanner Firenze http://www.scanner.it/libri/giornidineve-sole4676.php

mercoledì 2 novembre 2011

I senza storia e senza memoria , Difendere la lingua di Dante , Letteratura e fotografia con accento italiano in Canada,"Grande leader africano"

I senza storia e

senza memoria

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A margine dell'articolo di Paolo Bagnoli

"Il Pd si sfarina"(ADL 23.10.2011).

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Quel partito – il PD - a canne d'organo non armonizzate, secondo la felice immagine di Paolo Bagnoli descritta nel suo intervento su L'Avvenire dei lavoratori di domenica 23 ottobre, è un risultato atteso e previsto, da alcuni e non da oggi: non si crea un partito serio senza una storia e senza una memoria. Quando poi si pensa di adottare una storia e una memoria "truccate", ancora peggio. Non è una lezione della storia a disposizione di alcuni specialisti, ma è semplicemente il frutto del buon senso. E questo stupisce ancora di più. A consolazione del PD bisognerebbe riconoscere che anche altre formazioni politiche attuali non si sa che cosa siano, quale memoria e quale storia rappresentino e, infatti non a caso vivono una vita molto più precaria di quanto qualche presunto leader vorrebbe.

Se la questione da un punto di vista politico è chiara, sarà necessario attendere le analisi degli storici e dei sociologi per darne una spiegazione intelligente; ma qualcuno attende invece gli psicanalisti., Vedremo.

Il fatto del tutto negativo, tuttavia, non è solo questo sfarinamento del nostro sistema dei partiti, quanto piuttosto che il ventennio – sembra una condanna – di questa cosi detta seconda repubblica ha comportato per il paese un ritardo culturale di analoga portata. Indico la parola "culturale" per sintetizzare le diverse dimensioni del nostro ritardo: economico, tecnologico, strutturale, sociale, ecc.

Alla ricerca di segnali di ottimismo certamente potremmo indicare varie situazioni, vari eventi e varie manifestazioni, Non vanno certamente sottovalutati, anche se i tentativi di dare corpo a questi movimenti ha dovuto registrare sino ad ora la mancanza delle condizioni necessarie e cioè, appunto il riconoscersi in una storia e in una memoria e da lì partire per elaborare la proposta di un progetto e di un programma di governo e di ammodernamento del paese.

Per ora le uscite di D'Alema e Co. tengono ancora banco, quelle di Veltroni pure, anche se sembrano sempre più dei racconti provinciali e campati per aria. o peggio. E i "rottamatori" hanno colto solo una faccia del problema, perché in materia di storia e memoria stanno accuratamente attenti a esporsi il meno possibile, dimostrando di aver acquisito il peggio degli eventuali rottamati.

L'avvicinarsi della scadenza elettorale – anticipata o meno, resta comunque ormai a breve termine – potrebbe dare delle scosse in direzioni , tuttavia, diametralmente opposte: o una chiamata a raccolta di tutti per evitare che le zizzanie interne mettano a rischi il possibile successo o una accentuazione delle differenze e delle autonomie anche organizzative dei vari gruppi per evitare di essere "democraticamente" eliminati. Più passa il tempo, più la seconda ipotesi diventa rischiosa per tutti.

E poiché i tempi delle scadenze elettorali non sono affatto certi, e del tutto probabile che, se l'Europa ci sorregge, la prima soluzione vada avanti. Sino a quando non si sa. Probabilmente sino a quando quel movimento sociale ancora sconnesso non troverà l'incontro con un serio soggetto politico, al quale lavorare, o continuare a lavorare, comunque, da subito.

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Sergio Ferrari

Difendere la lingua di Dante

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ANCHE LA COMUNITÀ ITALIANA

DIFENDE L'INSEGNAMENTO DELLA

LINGUA DEL SÌ NELLA SCUOLA SVIZZERA

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La Svizzera è l'unico Paese al di fuori dell'Italia e, ovviamente, di San Marino e della Città del Vaticano, in cui l'italiano è una lingua ufficiale. Poi, in effetti, il tedesco la fa da padrone, il francese resiste per il numero proporzionalmente elevato di coloro che lo parlano. Il romancio, da parte sua, è praticamente presente come testimonianza linguistica solo in alcune valli della Svizzera orientale. Infine abbiamo, appunto, l'italiano che è una lingua minoritaria essendo parlata da meno di trecentomila persone del Cantone Ticino e in quello dei Grigioni in due sue valli a sud delle Alpi, mentre sta scomparendo oltre San Gottardo e, soprattutto, nelle istituzioni pubbliche della Confederazione.

Se oggi è questa la situazione della lingua di Dante in Svizzera la causa è da ricercarsi nel fatto che la componente "italiana" di questo Paese (il Cantone Ticino e, in parte, il Cantone Grigioni) non ha saputo (voluto?) avvalersi della grande opportunità che ha avuto di potersi espandere e rafforzare linguisticamente oltre Gottardo, nel resto della Confederazione, valorizzando la lingua italiana, quando dall'immediato Dopoguerra sino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, vivevano centinaia di migliaia di emigrati italiani. Un'occasione purtroppo perduta poiché oggi la comunità di origine italiana che vive ancora oltre Gottardo con le sue seconde e terze generazioni, essendosi integrata nelle società locali, è divenuta linguisticamente francofona o germanofona perdendo gradualmente la conoscenza dell'italiano.

Questo è quanto scrivevo tempo fa commentando quanto era accaduto con la lingua italiana in questo Paese. Poi arrivò la decisione del Cantone di San Gallo di sopprimere nelle scuole superiori le lezioni di italiano quale materia curricolare. Una decisione che quel Cantone dovette rimangiarsi alla svelta per l'opposizione di gran parte della politica locale, del mondo accademico e della stessa comunità italiana (sostenuta dal Comites e dal Cgie) che contribuì notevolmente alla raccolta di firme per una petizione popolare a sostegno della continuazione dell'insegnamento della lingua italiana nel cantone di San Gallo. Il tutto a dimostrazione che la collettività italiana, se coinvolta, è tuttora certamente utile (determinante?) per difendere e promuovere la lingua italiana in questo Paese.

Adesso ci sta riprovando il Cantone Obvaldo ad escludere l'insegnamento dell'italiano dalle materie principali della maturità ed anche in questo caso subito si sono attivati per far rientrare questa decisione sia la Deputazione ticinese alle Camere Federali che altre istituzioni ed organizzazioni che promuovono e difendono lingua italiana in Svizzera. Come già avvenne a San Gallo, è stata immediatamente lanciata una raccolta di firme per opporsi alla decisione del Cantone Obvaldo da parte dell'Associazione svizzera dei professori di italiano (ASPI), dal gruppo "italiano@scuola.ch<mailto:italiano@scuola.ch>" e dal Dipartimento Educazione Cultura e Sport del Cantone Ticino.

Ci sarebbe piaciuto che da subito, in questa lodevole iniziativa, fosse stata coinvolta pure la comunità italiana attraverso quantomeno il Comites di Lucerna, competente territorialmente e ci piacerebbe che, in futuro, in analoghe situazioni, anche la rappresentanza istituzionale degli italiani in Svizzera venisse coinvolta fin dall'inizio e non a rimorchio. Tuttavia, ne siamo certi, il Comites di Lucerna (con il supporto della Delegazione svizzera del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero e dell'associazionismo italiano) darà ugualmente, il suo fattivo contributo al successo della petizione per far rientrare anche questo ennesimo tentativo di penalizzare l'insegnamento della lingua di Dante in questo Paese.

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Dino Nardi, Coordinatore UIM Europa e membro Cgie

Letteratura e fotografia con

accento italiano in Canada

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DUE CONCORSI PROMOSSI DELLA RIVISTA

ITALO-CANADESE "ACCENTI" - www.accenti.ca<http://www.accenti.ca/>.

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Vorrei portare alla Vostra attenzione l'annuncio della settima edizione del concorso letterario e della quinta edizione del concorso fotografico, entrambi indetti da Accenti, la rivista canadese dall'accento italiano (visitate il nuovo sito della rivista: www.accenti.ca<http://www.accenti.ca/>). Per entrambi i concorsi la scadenza per la presentazione delle opere è il 7 febbraio 2012.

I concorsi della rivista Accenti hanno come scopo quello di rafforzare il legame tra l'Italia e il Canada. Il concorso letterario è aperto a brani di narrativa (fiction, non-fiction e creative non-fiction), dall'argomento libero, redatti in lingua inglese. Il concorso fotografico mira invece ad 'immortalare un momento italiano'. Tra i vincitori del concorso letterario delle edizioni passate ricordiamo: Elizabeth Cinello (2011), Loretta di Vita (2010), Ivano Stocco (2009), Paul French (2008), Maria Francesca LoDico (2007) e Sheila Wright (2006). Vincitori del concorso fotografico negli anni scorsi: Marcel van Balken (2011), Amy Occhipinti (2010), Robert T. Norton (2009) e Nick Colarusso (2008).

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Giulia De Gasperi, Toronto

Contro Corrente

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"Grande leader africano"

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"Il capitalismo mondiale ci ha messo del tempo, ma alla fine è riuscito a raggiungere l'obiettivo che perseguiva da decenni, passando per Ronald Reagan, che fece bombardare Tripoli uccidendo una cinquantina di membri della famiglia di Gheddafi; per l'attentato di Ustica, dove, per colpire Gheddafi, l'aviazione francese colpì invece il DC-9 dell'Itavia. E per altri numerosi tentativi di far fuori il leader di un paese che ha datp più aiuti ai paesi del terzo mondo di tutti i grandi paesi del G-20 mesi insieme".

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di Rodolfo Ricci

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Dice il commentatore e vaticanista della Stampa, Andrea Tornielli, nel suo blog (http://2.andreatornielli.it/): "La Libia, quando Gheddafi prese il potere nel 1969, aveva un tasso di analfabetismo del 94 per cento; oggi l'88 per cento dei libici è alfabetizzato. Il Federal Research Division della Libreria del Congresso Usa scrive che "un servizio sanitario di base è fornito a tutti i cittadini libici. Salute, formazione, riabilitazione, educazione, alloggio, sostegno alla famiglia, ai disabili e agli anziani sono tutti regolamentati dai servizi assistenziali". Le vaccinazioni infantili coprono la quasi totalità della popolazione. C'è un medico ogni 673 cittadini. Secondo le tabelle dell'Indice di Sviluppo Umano della Banca Mondiale (miscellanea di aspettativa di vita, istruzione, reddito) la Libia è (o meglio, era) l'unico paese con livello alto dell'Africa, e veniva prima di ben nove nazioni europee.

Cito questi dati traendoli dall'illuminante libro Libia 2012 dello storico Paolo Sensini (Jaca Book), che consiglio vivamente a tutti coloro che vogliono farsi un'idea sulle ragioni della guerra e sul potere della disinformazione. Perché ho ricordato tutto questo? Perché alcuni dei capi dei "ribelli" e del governo provvisorio – i nostri governi stendono su questo un velo di silenzio – sono ex terroristi di Al Quaeda. E se c'è una cosa davvero incerta è il futuro del paese. Li cito per ricordare come siamo molto selettivi nell'individuare i dittatori cattivi, e le popolazioni da proteggere, a seconda delle convenienze. Se le rivolte vengono sedate nel sangue in certi paesi arabi ottimi alleati dell'Occidente, facciamo finta di niente. In altri casi, come in quello della Libia (vuoi vedere che c'entrano petrolio e gas?) in poche ore eccoci tutti in fila a bombardare, ovviamente solo con bombe "intelligenti"…

E' solo l'ultima esternazione a cui si assiste sul web dopo l'esecuzione di Muhammar Gheddafi da parte di islamisti al seguito della alleanza neocolonialista e criminale capitanata dalla NATO che ha sganciato oltre 50.000 bombe in sette mesi di guerra sul territorio libico per annientare per sempre dalla faccia dell'Africa e della terra, la Jahmaijria socialista e il suo leader, arrivato al potere senza sparare un sol colpo nel lontano 1969.

Il fronte del capitalismo mondiale ci ha messo del tempo, ma alla fine è riuscito a raggiungere l'obiettivo che perseguiva da decenni, passando per i bombardamenti di Ronaald Reagan, che fece bombardare Tripoli uccidendo una cinquantina di membri della famiglia di Gheddafi; per l'attentato di Ustica, dove, per colpire Gheddafi, l'aviazione francese colpì invece il DC-9 dell'Itavia con la morte di tanti italiani. E per altri numerosi tentativi di far fuori uno dei più intelligenti leader africani e mnondiali, il cui paese ha contribuito in termini di aiuti ai paesi del terzo mondo più di tutti i grandi paesi del G-20 mesi insieme.

In termini di conquiste sociali ed economiche, di sviluppo e modernizzazione di un paese arretratissimo fino agli anni '70, Gheddafi ha pochissimi "concorrenti". Non ha eguali l'opera faraonica e strategica di creazione del grande fiume Man Made River, che costituisce la più grande opera di irrigazione dei paesi desertici e dell'intero pianeta, un'opera, che da sola e forse più della gestione indipendente ed oculata del petrolio, preoccupava fortemente il gruppo di potentati criminali che hanno aggredito la Libia sotto le insegne dell'ONU, in previsione della conquista e del controllo globale dell'acqua, una guerra planetaria che può dirsi iniziata proprio con l'aggressione alla Libia.

Se vi è qualcosa in cui Gheddafi ha sbagliato (e che deve servire di insegnamento) è quella di fidarsi del capitalismo criminale del nord, il cui apprezzamento quale scudo contro la penetrazione dell'islamismo nel nord Africa e il contenimento dei flussi migratori, non è bastato per acquisirne il riconoscimento. A posteriori si può dire che si trattava della più grande operazione di simulazione che un gruppo di paesi ha elaborato per disfarsi dell'indipendente e pericolosissimo leader che mirava all'unità africana, mentre per chi comanda l'Africa non è altro che il continente del futuro confronto-scontro con la Cina e forse con l'India. Una sorta di patto di non aggressione violato alla prima utile occasione: la primavera araba.

Non è stato attaccato ed eliminato perché non faceva bene, Muhammar Gheddafi, ma perché fin troppo bene e con visione di futuro aveva fatto, lui, figlio di beduini analfabeti, nato nel '42 - ma non sapeva neanche lui di preciso quando - nel deserto a ridosso di Sirte.

A dimostrazione che l'intelligenza e la capacità di leadership prescinde, molto spesso, dal livello delle scuole frequentate ed è molto più legata alla capacità dell'intelligenza critica di cui ogni persona è dotata, salvo abdicarvi sotto pressione dei più forti o per adesione subalterna agli stessi, un panorama di cui è pieno il miserabile occidente avanzato.

Non è un caso che dopo il dissolvimento dell'URSS, tutti i residui bastioni di quello che fu il grande movimento dei "non allineati" è stato abbattuto senza pietà, secondo l'innovativa prassi delle guerre umanitarie: Jugoslavia, Iraq, Libia. Affinché il posizionamento geostrategico occidentale fosse rafforzato in previsione degli eventi imminenti.

Ovviamente non esiste alcuna ragione umanitaria nell'attacco alla Jamajiriya, come non ne esistevano nelle precedenti aggressioni e guerre degli ultimi 15 anni. Ne sono conferma il sostegno a dittature spietate e feudali come quelle dell'alleato prediletto, l'Arabia Saudita dei Saud-Bush, e dei suoi emirati satelliti inventati dagli inglesi e cogestiti assieme agli USA del premio Nobel Barack Obama.

Ciò che colpisce in quest'epoca di fine impero è che le aggressioni si succedano sempre più frequenti e che il loro carattere oggettivamente criminale assomigli sempre più a quanto insegnato dalle politiche del decennio del Terzo Reich, incluso l'uso goebbelsiano dei media, che si mobilita a condannare le violenze dei riots londinesi e dei black bloc romani, massaggiando per settimane i poveri (ma non più scusabili, se non si rivoltano) spettatori dell'occidente, e che parallelamente sostengono - da destra e da "sinistra" (insieme a settori consistenti di pacifisti pentiti) - le cinquantamila bombe umanitarie sganciate a difesa dei "civili libici" di Bengasi e di Misurata, mentre su Tripoli, Sirte, Bani Walid ecc. può piovere abbondante l'uranio impoverito e altre amenità, senza che nessuno si agiti.

Solo l'esecuzione del Cristo nel deserto filmata da decine di telefonini di ultima generazione e diffusa malgrado i suggerimenti della Nato mandante, riesce a destare qualcosa nel profondo di coscienze sempre più controllate. Ma subito dopo si riparlerà di casa nostra, con l'inconsistenza e l'insipienza di sempre.

Finché qualcosa non arriverà a destare gli spiriti.

Per ora non ci resta che salutare la grandezza di Muhammar Gheddafi, beduino, ispirato da Enrico Mattei, leader e combattente fino alla fine, dell'indipendenza libica ed africana per quasi mezzo secolo.

Niente fughe in paradisi dorati, niente accaparramento di miliardi di dollari che erano alla portata sua e della sua famiglia. Un segno invece, che non può essere oscurato facilmente, né dimenticato.

"Sic transit gloria mundi" ha detto qualcuno. Vedremo se ciò che è stato seminato tornerà nell'ombra oppure se da esso nuove e più accorte occasioni germoglieranno in Africa, continente del XXI secolo.

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Caro Ricci, la tua pur utile denuncia delle politiche occidentali in Libia manca di una valutazione critica sulla dittatura di Gheddafi. Ma il dibattito è aperto. – La red dell'ADL