venerdì 30 ottobre 2009

Italia evoluta e civile


Lettera

POVERO BERLUSCONI

Berlusconi sta seguendo, passo, passo, le orme di Mussolini.

Berlusconi sta seguendo, passo, passo, le orme di Mussolini. Siamo già arrivati alle soglie delle "grandi opere del regime": vedi il ponte di Messina. Ci mancano solo "i fasci littorio" e gli "inni di regime" ma arriveremo, ormai, a qualcosa del genere.

    Ricordiamoci, in particolare, che anche Mussolini (che ha fatto scuola di "dittatoriato" a Hitler) è stato democraticamente eletto! Il fatto è che sono gli italiani a rifiutare di considerare la politica una cosa seria: un progetto e un patrimonio da costruire e gestire con lo studio e l’impegno quotidiano di una serie continuativa di generazioni.

    Per andare al sodo dobbiamo dire che anche i gestori della finanza nazionale sono corporativi e si fidano solo dei "cani fedeli" diffidando dei "cani sciolti" alla Piero Gobetti & Co. Ma chi sono questi "investitori istituzionali" ? Luciano Gallino [Con i soldi degli altri, Einaudi, Torino, 2009] li individua nelle società di gestione dei fondi sottoscritti dai risparmiatori. A mio parere non si tratta soltanto della gestione finanziaria degli investimenti effettuati dai risparmiatori ma – anche e soprattutto – del fatto che il sistema finanziario globale (compresi gli organismi mondiali tipo Banca mondiale e IMF) si trova a gestire l’immensa possibilità de emettere moneta con l’unico limite di rispettare le capacità assorbimento dell’economia reale senza sforare troppo i livelli fisiologici dell’inflazione. L’enorme riserva finanziaria del governo statunitense ha permesso di esportare inflazione nel mondo grazie alla circolazione degli euro-nippo-asia-dollari. Con questi extra-dollari (dollari extrastatunitensi) il potentato nord americano ha potuto finanziare – e condizionare - e corrompere - l’intero sistema politico (ed economico) globale. Berlusconi ha avuto l’abilità (si fa per dire) di inserirsi (seguendo le orme del "Craxi post-Sigonella") in questo gioco che comunque lui non avrebbe mai potuto modificare e trasformare. Ma, per piacere, smettiamola di accusare gli anglo-americani di ricattare il resto del mondo. Noi europei, tanto per cominciare, abbiamo regolarmente sfruttato la situazione abdicando alle nostre responsabilità nel quadro della NATO.

    Berlusconi in particolare ha sfruttato a meraviglia l’introduzione dell’euro (mentre a Craxi non era riuscita la manovra monetaria dell’introduzione della "lira forte" che invece era già riuscita a Mussolini nel 1927). Con il cambio dell’euro i prezzi hanno subito un’impennata che è stata imputata alla cattiva influenza dell’Unione europea sull’economia nazionale italiana. In realtà - chi più, chi meno - tutti i governi nazionali europei, attraverso i loro poligrafici e le loro "zecche" hanno immesso nella circolazione monetaria una massa di euro-monete molto maggiore di quella destinata alla pura sostituzione della circolazione delle rispettive monete nazionali.

    Berlusconi, ispirandosi alla logica dell’ "assalto alla diligenza" propria di "Ghino di Tacco" ha immesso il doppio (!) della massa monetaria di equilibrio. L’operazione è stata guidata da Berlusconi ma sono stati tutti – tutti – i vari protagonisti del sistema finanziario – ma anche produttivo – italiano che hanno beneficiato del vertiginoso aumento dei prezzi.

    In prima battuta le banche – in quanto distributrici di aperture di credito, quindi, al momento, senza neanche bisogno di emissione di carta moneta – ma tutti gli operatori – decisori dei prezzi hanno potuto avvantaggiarsi di una loro posizione di vantaggio. Naturalmente sono stati i consumatori a subire la debolezza conseguente ad una esplosione di circolazione euro-monetaria che più che essere fuori-controllo era stata molto ben gestita da "Ghino secondo" candidato presidente-semidittatore di un’Italia che rischia di essere più "disastrata" che "scombinata".

    Era completamene sbagliata l’idea che "fatta l’Italia" bisognava "fare gli italiani". Se non sono gli italiani decisi a farsi carico della costruzione di un’Italia evoluta e civile, nessuno, nemmeno il Padre eterno e tanto meno il Papa romano, sarà mai in grado di costruirla al loro posto! Rendercene conto - al di fuori di fedi e fedeltà fasulle - è l’unica cosa che possiamo fare!

Francesco Introzzi (Cuneo)     

Lettera

PER UNA LETTURA STORICA DEI TAGLI ALLA SCUOLA PUBBLICA
Come lo scorso anno, quest’inizio di anno scolastico si presenta amaro e insereno per il personale precario della scuola.

I numeri dei tagli di posti sono ormai da tempo noti nella loro concretezza impersonale e brutale. Le conseguenze di tutti questi tagli, che – giova ricordarlo – si sommano a quelli degli anni precedenti (anche durante governi di centro-sinistra, sia pure questi molto meno devastanti), si fanno già sentire nelle scuole: aumento del numero medio di alunni per classe, fine di percorsi pedagogici e didattici (a partire dalle compresenze), riduzione di fatto dell’offerta formativa. Nella sola Puglia i dati già forniti dal ministero in agosto parlano di 4000 tagli fra docenti e personale ATA.

    Assunzioni divenute una rarità. Nomine annuali ridotte talvolta al lumicino. Supplenze al momento solo ipotetiche e solo per una ristretta fascia. In un contesto di crisi occupazionale la precarietà si trasforma in saltuarietà. La situazione è destinata – dati e leggi alla mano – ad aggravarsi nei prossimi anni. Con effetti non solo sul piano economico ma anche sociale, psicologico e professionale per quanti e quante vivono questa lunga fase di precarietà e di incertezza. Come presentarsi in una classe senza particolari motivazioni a ben operare e senza certezze per l’anno prossimo o fra qualche mese? Come presentarsi nelle rispettive società locali senza un’adeguata e sicura qualifica lavorativa, fondamentale per una solida identità sociale? Come accettare l’idea di alternare lavori diversi, tutti precari, e al contempo di promuovere le proprie competenze in un ambito come quello dell’insegnamento?

    Il lavoro a tempo indeterminato nella scuola pubblica è divenuto una sorta di oasi nel deserto, per pochi "fortunati" di lungo corso precario. Lo stesso clima scolastico è peraltro segnato spesso da gravi difficoltà di lavorare serenamente, tanto più a causa della tendenza in atto a concedere pieni poteri (quindi anche possibilità di arbitrii) ai dirigenti scolastici.

    Temo che a pochi e poche, anche fra noi lavoratori precari della scuola, sia chiaro il carattere costituente di questo processo di espulsione dalla scuola di molte decine di migliaia di lavoratori, di riduzione dei posti di lavoro, di esodo forzoso di massa dal quel settore, di uno stillicidio di norme o di "semplici" affermazioni vessatorie verso il personale delle scuole.

    Non si comprende ancora a fondo che quello in atto verso i lavoratori e le lavoratrici precari della scuola è un attacco che ci anticipa configurazioni dei rapporti sociali da qui a venire, il tassello forte proemiale di un nuovo ordine. Precarietà dei contratti e assottigliamento dei posti parlano di gerarchie, di asservimenti, di varie ricattabilità. Sostituzione delle graduatorie attuali con concorsi d’istituto e chiamate dirette da parti dei dirigenti (cfr. proposta di legge Aprea) equivale all’aumento dei tassi di illegalità con l’istituzione di baronati vernacolari (sul modello universitario) anche nelle scuole. Fuga dalla scuola dice impoverimento della scuola rispetto a competenze altrimenti difficilmente recuperabili. Indebolimento della scuola pubblica racconta un rafforzamento delle analoghe strutture private, aziendali e/o confessionali (cattoliche), quindi fine di ogni istanza egalitaria.

    Un’immagine mi sta tornando più volte alla mente: i precari della scuola in questi ultimi anni di macelleria sociale sono come i minatori nel Regno Unito all’inizio del riordino della Thatcher.

    Assieme ai fratelli e alle sorelle migranti "clandestini" subiamo cose di cui un futuro l’Italia dovrà vergognarsi. Nel frattempo anche dall’esito delle vicende che ci riguardano dipende il futuro dell’intera Italia.

Gaetano Colantuono
Docente e ricercatore precario 

Lettera

Le vecchie fotografie del Coopi

Vi chiedo di mettere in rete le vecchie fotografie del Coopi o di suggerirmi dove posso trovarle.
Leggo sempre con interesse l'ADL. Grazie.
Armando Pescatore

Sul nostro storico ritrovo cooperativo zurighese sono state pubblicate innumerevoli foto in diversi libri, ma in rete -- lo ammettiamo -- non c'è ancora un granché. Faremo il possibile per rimediare in tempi ragionevoli. Grazie dell'interesse. - La red dell'ADL  

Fiat chiude lo stabilimento di Arese

Fiat chiude lo stabilimento di Arese

Il Lingotto concentrerà a Torino l’attività dello storico sito ex Alfa Romeo, ora "Centro stile". L’allarme della Fiom di Milano: 229 trasferimenti in Piemonte e  cassa integrazione per gli altri. Cig anche a Melfi e Mirafiori.

Fiat vuole spostare a Torino le attività del ‘Centro Stile, della Sperimentazione e della Progettazione’ di Arese, il sito ex Alfa Romeo alle porte di Milano, trasferendo in Piemonte tutti i 229 lavoratori a partire dal 4 gennaio 2010. In più, cassa integrazione ordinaria fino al 21 febbraio per 91 dei 113 dipendenti di Powertrain: a lavorare nell'ultimo centro produttivo rimasto in piedi nel milanese resteranno soltanto 22 persone. In sostanza, quasi 400 persone via da Arese e incertezza per i pochi che restano, cioè gli 80 degli enti commerciali e i circa 500 del call center. È l’allarme lanciato dalla Fiom di Milano dopo un incontro di oggi (27 ottobre) con l’azienda. “Da oltre un anno – afferma il sindacato in una nota – chiediamo a tutti i soggetti interessati, in primo luogo a Fiat, quali siano i reali progetti su Arese. Dopo dodici mesi di silenzio, oggi ha deciso di farcelo sapere”. Dal quartier generale del gruppo Fiat, riferisce poi l'Ansa, è stato precisato che l'operazione si è resa necessaria in quanto il livello delle
attività ad Arese è ormai pressoché inesistente e pertanto risulta indispensabile trasferirle per rendere più efficiente la produttività e creare sinergie con le stesse funzioni svolte presso gli stabilimenti torinesi.

    “COLPEVOLI AZIENDA E REGIONE”. Il 'Centro Stile' era ormai una delle ultime attività ad Arese, dove fino a una decina d'anni fa si effettuavano ancora produzioni, seppure di nicchia, come quelle di Spider e Gtv. Secondo La Fiom milanese è proprio Fiat “il principale responsabile” di quella che definisce “la distruzione dello straordinario patrimonio di competenze e di professionalità di Arese”, ma anche “dei mancati investimenti nella progettazione, sperimentazione e produzione di auto a basso impatto ambientale”. Tuttavia, insiste la Fiom, le scelte della casa torinese “sono state rese possibili anche dal silenzio di quelle istituzioni, in particolare la Regione Lombardia, che pure avevano sottoscritto accordi e si erano impegnate per il mantenimento di attività innovative e qualificate”. Intanto, per giovedì 29 ottobre è previsto un incontro in Assolombarda cui sarà presente anche la Fiat per discutere il piano annunciato. “Con i lavoratori – conclude la Fiom – decideremo tutte le iniziative di lotta per contrastare lo smantellamento del sito e per il mantenimento e il rilancio di Arese. Dalle istituzioni ci aspettiamo altro dal silenzio”.

    CIG A MIRAFIORI E POTENZA. Notizie non buone anche per altri siti del Lingotto. Saranno infatti in cassa integrazione per una settimana, dal 23 al 27 novembre, gli operai dello stabilimento di Melfi (Potenza). A comunicarlo è il segretario della Fiom Basilicata, Giuseppe Cillis. Anche in questo caso le organizzazioni dei lavoratori attendono “un incontro ufficiale con l'azienda per conoscere i motivi” della scelta. E a Mirafiori altra cig negli stabilimenti impegnati nelle linee Mito e Multipla. È quanto annunciato sempre oggi dall'azienda ai sindacati. Il provvedimento dovrebbe coinvolgere circa 500 operai dal 23 al 29 novembre per la Multipla e altri 1.700 per la Mito, tra il 23, 24, 25, 30 novembre e il primo dicembre. (rassegna.it)  

martedì 6 ottobre 2009

Da Messina

 
 

Mentre scrivo scorrono sui televisori di mezzo mondo le immagini del disastro avvenuto in Sicilia. Per me che conosco questo territorio è facile constatare come si tratti dell'ennesima tragedia annunciata, e di cui magari non ci sarà un colpevole con nome e cognome. Come al solito si spara nel mucchio, si gereralizza, ed alla fine le responsabilità diventano penalmente irrilevanti. Ma non è la prima volta e, ci auguriamo di no, forse non sarà nemmeno l'ultima.


Nelle zone di Messina, ma anche in gran parte della Sicilia e della Calabria, la terra è friabile, le frane sono quotidiane dopo un poco di pioggia, ma vi hanno costruito male e dappertutto per sfruttare il turismo residenziale e questi sono i risultati della speculazione, dell'ingordigia, della politica che pensa solo a soddisfare gli appetiti e l'ego di pochi che credono di poter continuare indisturbati a violentare la natura e gli uomini.

    Esistono pochi investimenti per la sicurezza dei cittadini, ma se ne trovano per le grandi opere che servono a finanziare anche la criminalità organizzata, per le missioni militari che aiutano i fabbricatori d'armi a migliorare i loro bilanci.

    A che serve un faraonico ponte in zona ad alto rischio sismico, basta un terremoto tipo Sumatra (quasi l'ottavo grado Richter) per azzerare 6 miliardi di euro, quando poi per andare da Messina a Catania (un'ora di autostrada) bisogna passare... da Palermo (almeno cinque, sei ore!) o prendere un traghetto? A che serve un ponte sullo Stretto se il sistema viario è precario, insicuro? Se interi paesi rimangono isolati dopo la pioggia, se la gente rischia di crepare a ogni lieve scossa perché le elementari norme antisismiche (valide dal Giappone alla California) da noi sono sistematicamente disattese?

     Lo sconforto è dunque grande e la tendenza al pessimismo potrebbe prevalere, osservando anche i comportamenti antietici della nostra classe politica, complice e vittima (a destra come a sinistra, se queste nobili distinzioni d'un tempo oggi hanno ancora una qualche valenza), protagonista dell'italico bordello di cui parlava già il gran padre Dante.

    Poi vedo la folla di Piazza del Popolo che chiede un'informazione diversa, una stampa che non sia condizionata dal potere dominante, e allo sconforto subentra la speranza: che anche i tanti morti di questi giorni non diventino l'occasione per l'ennesima passerella nello squallido spettacolo che tv e giornali ci propinano in continuazione.

    I morti vanno rispettati e non usati demagogicamente per promesse che si manterranno solo se e come ci sarà un ritorno elettorale. È già successo per i terremotati dell'Aquila, doppiamente turlupinati perché i prefabbricati assemblati in questi mesi sono molto costosi (a chi sono stati dati gli appalti per la loro costruzione? C'erano opzioni alternative?) e perché quelle abitazioni sono andate a pochi, mentre migliaia di cittadini non sanno quando potranno rientrare nelle loro case e il centro storico dell'Aquila è ancora invaso dalle macerie. E ciò sia detto senza contare le migliaia di studenti fuori sede che forse dovranno continuare altrove i loro studi.   

    E allora ci lascia bene sperare per il futuro il fatto che migliaia di cittadini (i portatori di diritti e l'elemento fondante della democrazia) vadano in piazza a chiedere di essere informati per poi poter scegliere in piena autonomia.

    Non è vero che non ci sia in Italia la libertà di stampa, ci mancherebbe! Ognuno dice la sua, come e dove crede. Il guaio è che spesso le informazioni critiche nei confronti del potere, del governo, della finanza sono boicottate. E chi osa dire che il re Silvio è nudo si prende insulti a valanga anche se ciò di cui parla corrisponde al vero. Molta è la disinformazione alla Feltri, molte sono le illazioni alla Belpietro, che inchiodano i Boffo e le D'Addario di turno.


prof. Nino Puliatti (Messina)

giovedì 1 ottobre 2009

G20, nasce il Patto di Pittsburgh

Addio G7, si riunirà solo su temi di sicurezza internazionale. Il principale vertice economico diventa il G20. Lo hanno deciso i leader dei paesi più ricchi. Allarme disoccupazione: “Continuerà a crescere, servono misure di sostegno”. Poco per l’ambiente

di Paolo Andruccioli e Maurizio Minnucci

Sarà ricordato come “Il Patto di Pittsburgh” quello siglato oggi (25 settembre) nella città americana della Pennsylvania, dove i leader dei 20 paesi più ricchi del mondo si sono riuniti alla ricerca di nuove regole per affrontare la crisi attuale e per evitarne altre in futuro. L’obiettivo dell’accordo, così si legge nella bozza del documento finale, è “la crescita sostenibile, duratura e solida, grazie a misure coordinate la cui applicazione da parte dei singoli paesi del G20 sarà verificata collettivamente”.

    Primo passo sarà la trasformazione del G20 in un vero e proprio forum permanente con capi di stato e di governo, dove i tutti paesi che ne fanno parte potranno verificare insieme le misure di sostegno introdotte dai singoli Stati. Al suo fianco verranno attribuiti più ruoli e collaborazione con il Financial Stability Board (Fsb), che dovrà essere allargato anche alle economie dei paesi in via di sviluppo e emergenti. Già entro fine anno i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali avvieranno un processo comune e coordinato di recepimento del framework per la crescita. Riunione che secondo le prime indiscrezioni battute dalle agenzie potrebbe tenersi il 7 e l’8 novembre in Scozia.

    Il vertice dei “grandi” conferma che “l’imperativo è combattere il protezionismo” e torna a rilanciare, in tema di commercio internazionale, una conclusione “rapida e ambiziosa” del Doha Round entro il 2010. Insiste sulla necessità di combattere le speculazioni e si dice pronto ad agire su diversi fronti anche per evitare le manipolazioni di mercato e contenere l'eccessiva volatilità dei prezzi. Sul fronte della crisi invita a non abbassare la guardia, confermando le misure di stimolo messe in campo ("prematuro ritirarle"). Alle banche, invece, i 20 di Pittsburgh chiedono di periodo favorire la crescita (nel breve e medio periodo) per poi rafforzare il loro capitale (a lungo termine).

    Sul lavoro arriva l’allarme. “La disoccupazione – si legge ancora nella bozza del documento finale – rischia di crescere anche nei paesi in via di ripresa”, per questo bisogna “rilanciare la necessità di misure a sostegno della disoccupazione per favorire la formazione professionale di chi perde il posto e la creazione di nuovo lavoro, soprattutto nelle nuove tecnologie, nell’ ambiente, nell’energia pulita e nelle infrastrutture”. Il presidente di turno del G20, Barack Obama, ha invitato il proprio segretario al lavoro a organizzare, entro il 2010, un meeting internazionale, insieme all’Ocse, proprio per valutare l’evoluzione del mercato del lavoro.

    Poco per l’ambiente: l’invito è a ridurre gli sgravi sui combustibili fossili e investire le risorse così risparmiate in energie pulite.

    I vertici mondiali – almeno fino al G20 di Londra di sei mesi fa – sono stati sempre delle vetrine bugiarde del potere. Grandi promesse, grandi annunci e poi niente di fatto. Gli equilibri rimanevano intatti, i paesi poveri sempre più poveri, le diseguaglianze nei paesi ricchi immobili, se non in crescita. Anche sul clima e la nostra responsabilità di contemporanei viventi rispetto alle sorti del pianeta le dichiarazioni si sono sprecate, mentre gli oceani e i mari continuavano a riscaldarsi inesorabilmente. Con il G20 di Londra e con quello di Pittsburgh che si è concluso oggi 25 settembre qualcosa è cambiato, anche per merito di Barack Obama. I potenti sembrano più preoccupati e non a caso sono stati usati toni perfino apocalittici, linguaggio che veniva finora confinato ai controvertici. Ma la preoccupazione (ammettendo che sia sincera e non mediatica) non basta. Servono fatti e non parole, anche se le parole a volte possono pesare molto: un conto, infatti, è dirci certe cose al bar, a scuola, al lavoro, nelle riunioni di redazione, altra cosa è sentirle pronunciate dal presidente più potente del mondo davanti agli altri potenti e davanti ai mitici mercati finanziari che guardano alla politica solo per il loro interesse immediato, ovvero fare soldi con i soldi, seppure sotto forma di futures.

    Il G20 sostituisce il G7 - La novità è stata annunciata già ieri dal New York Times, che citando funzionari dell’amministrazione di Washington, ha anticipato l’annuncio del presidente Obama: il G20 prenderà permanentemente il posto del G7 come forum per la politica economica. La decisione degli Stati Uniti prima di essere buonista è strategica e non a caso ha creato non pochi problemi con le delegazioni della Francia, della Gran Bretagna e della Germania. Gli Stati Uniti, o meglio la nuova amministrazione americana guidata da Obama, hanno tutto l’interesse ad allargare l’area del consesso dei grandi. Vogliono superare il G7 perché hanno bisogno di fare i conti direttamente con i paesi emergenti. Una mossa che contemporaneamente riduce il potere dell’Europa e in particolare il ruolo dei paesi più forti del vecchio continente. Non è un caso che le opposizioni siano venute proprio dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Gli schieramenti sul G20 sono analoghi a quelli che si sono determinati sul nuovo ruolo che dovrà avere il Fondo Monetario Internazionale nel governo della crisi. Anche in questo caso gli equilibri girano intorno al potere di veto degli Usa e alla riduzione del potere dei paesi europei.

    Per anni il principale gruppo per la gestione dell’economia mondiale è stato il G7 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone) a cui si è gradualmente unita la Russia negli anni Novanta durante la presidenza americana di Bill Clinton. Ora si è deciso che il gruppo continuerà a incontrarsi due volte l’anno per discutere di questioni di sicurezza, mentre di economia si occuperà il più ampio G20 che comprende anche paesi come Cina, Brasile e India. E all’interno di questo nuovo assetto strategico lo scontro tra Europa ed Usa si è concentrato sull’immutabilità del ruolo degli Stati Uniti che conserverebbero il diritto di veto. Su questo punto si è notata a Pittsburgh la debolezza dell’Europa che continua a presentarsi divisa agli appuntamenti mondiali più importanti. Anche nel caso della trasformazione del G7 in G20 e della questione relativa del diritto di veto degli americani, l’Europa non ha avuto una posizione comune.

    Il tetto ai bonus dei manager bancari - Per quanto riguarda le banche si è deciso che i bonus dei manager bancari dovranno essere collegati ai risultati a lungo termine, da essi conseguiti nello svolgere le proprie mansioni, e non alla loro condotta sul breve periodo, soprattutto se comporta rischi per istituti e clienti. Questo il principio che pare sia stato approvato a Pittsburgh, mentre più in generale gli Stati Uniti hanno spinto per una consistente ricapitalizzazione degli istituti di credito che punti verso un rapporto tra mezzi propri e impieghi attorno al dieci per cento almeno. Gli europei – su questo punto – si sono detti nettamente contrari. Su questo punto si può dire che i paesi europei sono riusciti a trovare una omogeneità maggiore, anche perché il sistema finanziario europeo è comunque molto diverso rispetto a quello statunitense.

    La globalizzazione responsabile e il nuovo modello di sviluppo - La tensione sociale è alta, ma le risposte politiche non sembrano all’altezza. Non è stato neppure un caso che a Pittsburgh siano arrivate decine di organizzazioni sociali, guidate dall’Unione per le libertà civili della Pennsylvania, “per dire al G20 che la gente ha bisogno di servizi sociali piuttosto che di piani di salvataggio per le banche o le grosse aziende”, come ha detto Kim Coughlin, portavoce della ‘Carovana del popolo’. Molte le controiniziative, dal “festival per la libertà di espressione” promosso dalla ‘Alliance for Climate Protection’, fondata nel 2006 dall’ex-vice-presidente americano Al Gore, alle iniziative promosse dall’organizzazione ‘Bail out the people movement’ che ha scelto uno dei quartieri più degradati della città, con la maggioranza degli abitanti afro-americana, per piantare una ‘città di tende’ che ospita disoccupati e senza-tetto, portati ad esempio delle conseguenze del capitalismo sfrenato.

    Ma i poveri, si sa, non sono alla moda e ci tocca ricordare il fantasma che continua ad aggirarsi per il mondo, e che ha svolazzato anche su Pittsburgh: la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie su cui per anni c’è stato un vero e proprio ostracismo. La Tobin Tax tassa con una aliquota bassa, meno dell’1 %, tutte le transazioni finanziarie internazionali con lo scopo di conoscere, controllare e tassare in modo tale da scoraggiare i movimenti finanziari più speculativi. Da questa tassazione verrebbero risorse nuove che potrebbero essere usate per aiutare le aree più povere del pianeta senza pesare sulle finanze pubbliche.

    Se vogliamo azzardare quindi un primo commento sintetico di questo vertice possiamo dire che non si è trattato come altre volte di una semplice vetrina. Le preoccupazioni e le tensioni sociali spingono la politica a trovare una via d’uscita. Ma le medicine sono ancora molto leggere e le divisioni tra i “medici” sono evidenti. Più che un governo mondiale si tratta di una sorta di assalto alla diligenza allargato. E poi c’è anche una constatazione amara da fare: la crisi finanziaria sembra lontana e l’urgenza di cambiare il sistema sembra messa nell’angolo. Tutti sono d’accordo nel dire che questa crisi non è stata affatto superata e che comunque la ripresa (quando arriverà) sarà “jobless recovery”, ovvero che non porterà con sé nuova occupazione. I premi Nobel (come A.Sen) si lamentano che non sarà possibile una vera ripresa senza in poveri dei paesi poveri e denunciano il fatto che degli aiuti internazionali che erano stati già decisi nei vertici precedenti è arrivata. (Rassegna it)