giovedì 8 aprile 2010

Chères amies, chers amis / che dire del baciamano / Il voto di marzo

 

Chères amies,  chers amis

S'agissant des élections régionales italiennes, dont les résultats viennent de tomber, un enjeu peut en cacher un autre -  voir sur mon site http://www.silviariccilempen.ch, pour celles et ceux que ça intéresse, la chronique intitulée «Droit de cuissage». Et bon printemps à tout le monde! 

Silvia Ricci (Lausanne)
 
 
 
 

E che dire del baciamano
del Cavaliere a Gheddafi !? 

Si può capire un baciamano all'interno della vecchia aristocrazia. Un baciamano tra politici non è pensabile, ma un baciamano a un dittatore è il colmo.
    Ha ben ragione la sua ex moglie, Berlusconi non ci sta più con la testa.
    Quando un giorno questo diverrà chiaro a TUTTI, allora vedrete che pochissimi si riconosceranno berlusconiani, anzi proprio loro diranno che non lo sono mai stati.
    Un po' quello che accadde a Mussolini e alla DC. Chissà cosa ne pensano i Capezzone i Cicchitto, i Gasparri di questo baciamano, tanto per coinvolgerne qualcuno dei loro.

Gianfranco Tannino (Monaco di Baviera)
 
 
 
 
 
 

Il voto di marzo
Un necrologio è sempre meglio di una scusa qualsiasi, di una giustificazione inventata, di un'analisi politica indisponente. Voglio essere antipatico e maligno, spietato e deluso nel contempo, voglio esprimere tutta la mia profonda insofferenza. Il "caimano" ha vinto! Su questa affermazione non esistono contro indicazioni ne appelli o orpelli su cui discutere. L'onda lunga del "governo del fare" ha vinto in dispetto di chi l'aveva dato per spacciato, contro chi, me compreso, nutriva la speranza di vederlo ridimensionato, accartocciato sulle sue presunzioni. Il popolo elettore ha deciso! E' lui il nuovo duce, se pur a rimorchio nel carroccio della Lega! E' lui a condurre l'Italia verso un  mondo a noi sconosciuto! Per noi che abbiamo sognato un destino diverso per l'Italia, toccherà  chiudere la valigia ed intraprendere un nuovo viaggio, un nuovo sogno da rincorrere? La verità è che siamo stanchi di questo tragico ripasso della nostra storia politica. Abbiamo percorso molta strada in tutti questi anni, per poi ritrovarci nell'identico punto di partenza. Abbiamo lottato per più di 60 anni contro un partito che ritenevamo la causa dei ritardi storici italiani e, adesso, infondiamo certezza che era il meno peggio. L'Italia con Berlusconi è diventata un Paese irriconoscibile, la sua storia democratica quasi azzerata. Questo necrologio va celebrato come l'evento estremo ed ineluttabile dell'esistenza stessa di ogni logica razionale, cui voglio rappresentare il lato oscuro della politica. L'Italia è, e resta, il paese di Machiavelli! Il Valentino sosteneva che: "i mezzi del potere sono "frode e forza" e che "quelli che per poca prudenza o per troppa sciocchezza, fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e fraudolenti"  Quindi, dobbiamo lasciamo che sia il machiavellismo la leva del fare? Da cittadino che da molto tempo non si identifica più in quello che una volta era definito l'arco costituzionale, né si identifica con l'extra parlamentarismo, vorrei fare, possibilmente in compagnia, l'autopsia di questa parte politica morta nel nostro paese, di questo complicato rompicapo che è la volontà popolare. Tentando di capirne le cause che hanno portato al decesso della politica e della democrazia. A chi avesse un minimo di capacità di analizzare i simboli basterebbe l'immagine di Renata Polverini che in piazza, a un passo dalla vittoria, esibisce corna e cornetto rossi. Vi è rappresentato perfettamente il volto plebeo e provinciale della schiacciante vittoria della destra, non solo nel Lazio. Dunque, sarebbe sufficiente soffermarsi su quella immagine per cogliere la mutazione antropologica subita dalla società italiana. Una mutazione che ingloba anche il rigurgito del passato: il ritorno di tratti tipici della biografia del paese, il qualunquismo, il plebeismo, l'individualismo, l'astensionismo elettorale, la noncuranza della democrazia, la debolezza del senso civico, il disprezzo della cultura e degli intellettuali. Il tutto inglobato nella cornice delle trasformazioni strutturali del neoliberismo globalizzato e delle reazioni ad esse collegate. Il leghismo è, infatti, anzitutto reazione alla globalizzazione: esaltazione del localismo e del protezionismo, sollecitazione dello spirito plebeo, rifiuto della pluralità culturale, socializzazione del rancore popolare, capacità d'indirizzarlo verso capri espiatori. Le ragioni della disfatta del centrosinistra e ancor di più della sinistra che si vuole alternativa, con l'eccezione del risultato pugliese, stanno anzitutto nell'incapacità di comprendere e analizzare questa mutazione. Non aver capito o voluto capire a suo tempo che la Lega Nord andava esercitando una pedagogia di massa e per le masse è il peccato più grave della sinistra. La Lega è l'unico partito italiano strutturato nel territorio è capace di interagire con la gente per creare opinione. La secessione del Nord (non più solo del Nord Est) non ha più bisogno d'essere proclamata o minacciata: sta nei fatti. Il Piemonte, la regione simbolo della storia operaia, oggi governata da un avvocato leghista, racconta non solo delle trasformazioni subite dalla classe operaia, ma anche della forza egemonica della cultura leghista, al di là della stessa Lega Nord. Questo è il mio modesto necrologio di commemorazione alla speranza ma anche alla certezza che i tempi peggiori debbono ancora arrivare.

Vito Fichera
 

Caro Fichera, Berlusconi e la Lega fanno veramente senso. Ma ci sono stati nel passato, e in altri luoghi del mondo ci sono tuttora, condizioni ben peggiori di quelle in cui ci troviamo ad operare noi. Quindi, bando ai pessimismi cosmici e cerchiamo di fare la nostra parte, senza troppe certezze, ma con impegno costante. - La red dell'ADL

Gli errori della Germania dietro la crisi greca

 

I conti di Atene erano gonfiati. Ma le banche tedesche hanno comprato nel corso del tempo 120 mld di titoli ellenici.


di Mario Lettieri *)
e Paolo Raimondi **)

Le recenti dichiarazioni di Berlino di voler mettere fuori dall'euro e dall'Unione Europea le nazioni con un alto deficit e un crescente debito, come la Grecia, sono un grave errore. Non solo perché si infligge una ferita al proprio corpo ma soprattutto in quanto si pecca di una totale mancanza di prospettiva politica.

    Certo è che la Grecia ha manovrato i propri conti con l'aiuto delle grandi banche internazionali per rientrare nei parametri di Maastricht. Anche altri paesi europei sono sospettati di averlo fatto. E ha anche operato sulla leva del debito per mantenere uno standard economico superiore alle sue capacità. Ma è altrettanto vero che sono state soprattutto le banche tedesche, insieme a quelle francesi, a comprare la maggior parte delle obbligazioni dello stato greco. Infatti insieme detengono 120 dei 300 miliardi di euro di debito pubblico greco.

    Purtroppo i media tedeschi continuano a soffiare sul fuoco creando un pericoloso cambiamento psicologico nella pubblica opinione. Der Spiegel ha definito la crisi in Europa come «la bugia dell'euro» e la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha ventilato l'ipotesi di un crollo dell'euro e di un possibile ritorno al marco. Non vorremmo che ciò diventasse «il sentire» di massa.

    Vero è che l'economia tedesca è quella meglio organizzata e tecnologicamente più competitiva e con un surplus commerciale secondo solo alla Cina. Però il 43% dell'export tedesco riguarda i 16 paesi dell'Ue. L'Europa rappresenta quindi il mercato primario di sbocco per l'economia tedesca di beni e macchinari e sarebbe un grave errore quello di smantellarlo invece di svilupparlo e integrarlo in un progetto di modernizzazione più vasta.

    Certamente le contraddizioni nel sistema europeo sono state esacerbate dalla crisi globale per cui giova poco prendersela con i piccoli paesi che hanno peccato di furbizia, per non affrontare i grandi giocatori d'azzardo, tra cui le banche tedesche, che sono state seconde soltanto a quelle americane nella grande speculazione in derivati e in altre operazioni finanziarie altamente rischiose. La Bafin, la Consob tedesca, stima infatti che le banche della Germania abbiano attualmente oltre 800 miliardi di euro di titoli tossici ancora da smaltire.

    Nei giorni passati il governo tedesco, insieme alla Francia e all'Italia, ha cercato giustamente di mettere un freno alla speculazione dei credit default sawps contro l'euro e di introdurre un restrittivo «passaporto europeo» per gli hedge fund. L'iniziativa è stata bloccata da Londra ritardando così il processo di riforma del sistema finanziario.

    Ciò non deve sorprendere in quanto la City, più che Wall Street, è il vero centro della finanza speculativa, tanto che il 70% degli hedge fund ha sede sulle sponde del Tamigi. Quindi Londra, e non Atene, rappresenta il vero grande problema che l'Ue deve affrontare e risolvere. La sterlina è stata mantenuta fuori dall'euro, ma l'Inghilterra negli anni scorsi ha incassato sovvenzioni europee per decine e decine di miliardi di euro a sostegno della sua economia. In pratica ha ottenuto molti benefici senza nulla dare.

    Ricordiamo che l'economia inglese registra un deficit di bilancio del 12,7%, una disoccupazione dell'8%, un debito aggregato pubblico e privato del 253% del Pil.

    Più che pensare a fughe all'indietro, si dovrebbe accelerare la costruzione di un'Europa economica e politica autenticamente unita. È indubbiamente sbagliato che gli altri paesi europei polemizzino contro la Germania per la sua alta capacità di export, perché ciò non è una debolezza ma è un punto di forza dell'economia tedesca i cui effetti non possono che giovare all'intera eurozona.

    Da tempo sosteniamo la necessità di una politica europea comune di sviluppo e di emettere eurobond, non per pagare i debiti dei paesi a rischio di default, come molte banche vorrebbero, ma per finanziare investimenti continentali a lungo termine nelle infrastrutture e nelle nuove tecnologie.


(Italia Oggi 27.3.10)


*)    Sottosegretario all'Economia nel governo Prodi 
**)  Economista