mercoledì 9 dicembre 2015

Chi non vale un fico?!

La provocazione di Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali(?): “Ragazzi, il 110 a 28 anni non vale un fico”

 

Probabilmente la maggior parte dei cittadini e cittadine italiani/e non sa ricordare un nome, tra i tanti presidenti che hanno retto la storia più che centenaria della Lega nazionale cooperative e mutue. Eppure tra essi ci sono stati personaggi di altissimo livello, dal partigiano “titino” Valdo Magnani al presidente dell’Alleanza Internazionale delle Cooperative Ivano Barberini.

    Il nome del penultimo invece, purtroppo, imparano a conoscerlo anche i più distratti. Con grande imbarazzo di chi si sente rinfacciare ad ogni piè sospinto di stare nella stessa organizzazione di quello che è l’attuale Ministro del (non) lavoro.

    Maurizio Crozza ne fustiga l’agreste sempliciottismo, ma – come in altri casi tra le imitazioni del noto comico genovese – l’originale batte di gran lunga ogni caricatura. Paragonato ad un illustre esempio * , il semplicismo delle analisi dell’attuale ministro del lavoro è disarmante. In un paese deindustrializzato, privo ormai di grande imprese nazionali, in recessione da quasi un decennio, con indici di bilancio che sono superati in pejus (tra i paesi dell’Unione Europea) solo dalla Grecia, per Poletti il problema è che i giovani si laureerebbero tardi, perché perseguono l’obiettivo edonistico del massimo dei voti!

    Invece, se si laureassero prima, il lavoro lo troverebbero certamente: grazie ad una sfrenata fantasia lisergica, che non riusciamo a riconoscere nell’ex comunista imolese assurto alla corte renziana grazie al pacchetto conferito di voti emiliano-romagnoli.

    Gianni Rodari l’avrebbe messo in una favola del “Libro degli errori”, ipotizzando che Poletti fosse lui, con le sue dichiarazione paradossali, la possibile radice della crisi italiana.

    Vorrei che Poletti lo sapesse: io, funzionario pro tempore in distacco sindacale presso la Lega delle Cooperative, mi sono laureato non a 21, ma a ben 47 anni. E pure con la lode e la proposta di pubblicazione, terminata con tre ponderosi volumi.

    Perché così tardi?

    Ho fatto molti mestieri, e poi sono andato a lavorare come magazziniere in una cooperativa sociale di inserimento lavorativo. Che una laurea mi servisse per lavorare, già all’epoca era un’utopia regressiva. E mi considero pure fortunato: ci sono miei coetanei che fanno ancora i precari nella scuola. In ogni caso, da mio nonno meccanico ho imparato che le cose fatte bene richiedono il loro tempo. E dal nonno muratore ho ereditato l’imprinting genetico che è meglio star zitti, se prima non si è meditato a lungo.

 

Il partigiano Rino

Un film-documentario intitolato «Rino - La mia ascia di guerra» (coprodotto da Lab 80 film, Metavisioni e Rossofuoco) presentato alla 33esima edizione del Torino Film Festival.

 

Un paio d'anni fa il regista Andrea Zambelli e la produttrice del film sul partigiano Rino vennero a Ginevra per girare e ottennero il sostegno dell'Anpi. Ebbene, i sogni con determinazione si avverano e Andrea non solo ha finito il film, ma questo è stato anche selezionato per il Film Festival di Torino!

    Siamo molto, molto fieri ed emozionati... aspettando di poter vedere il film! Vi rinvio al link con articolo dell’Eco di Bergamo:

 

Anna Biondi, Anpi Ginevra

 

<> 

 

Pubblichiamo di seguito il progetto del film presentato a suo tempo a Ginevra.

 

Rino Bonalumi, classe 1922, vive con la moglie Lina e la badante rumena a Valbrembo, in provincia di Bergamo. Andrea, il regista, lo conosce da quando era bambino, le famiglie abitavano l’una sopra l’altra.

   Rino e Lina non hanno figli, da subito si affezionano ad Andrea e a suo fratello, diventando una sorta di nonni acquisiti. Quando Andrea è adolescente, Rino resta un punto di riferimento fortissimo, soprattutto rispetto alle scelte politiche. Da un po’ di tempo, Rino non ricorda più niente.

    Andrea ha decine di cassette, nei formati più disparati, in cui Rino racconta la propria storia. E, di conseguenza, quella di Andrea, e di molti altri. E’ la storia di chi sceglie di non adeguarsi all’ordine imposto, di ribellarsi, di essere sempre partigiano.

    La Storia di Rino Dopo l'8 settembre '43, quando l'esercito italiano si sbanda, Rino e decine di commilitoni vengono abbandonati dai loro comandanti e rientrano a casa per conto proprio.

    Rino decide che è il momento di passare all'azione, con un gruppo di amici costituisce una piccola brigata e decidono di assaltare la caserma di Ponte San Pietro per recuperare armi e denaro per finanziare la lotta partigiana.

    Il gruppo di Rino è formato da giovani entusiasti, che scelgono istintivamente l'antifascismo. Sono in sette, senza armi e senza alcuna preparazione politica. Assaltano la caserma in bicicletta, immobilizzano i soldati e portano via trenta fucili e la cassaforte. Il successo di questa azione li spinge a reclutare altri amici e a formare una brigata. Sono un gruppo autonomo, guardano con sospetto alle formazioni cattoliche che li incoraggiano ad entrare nel loro movimento. Vogliono libertà d'azione, non accettano finanziamenti da nessuno.

    Rino sfugge in maniera rocambolesca ad una perquisizione della milizia fascista e rimane latitante con una ventina di uomini. Fino al 25 aprile vivono alla macchia, alternando azioni ben riuscite ad ingenuità dovute all'assenza di preparazione politica e militare. Il 25 aprile la brigata è a Bergamo per partecipare alla Liberazione. Subito dopo decidono di regolare dei conti lasciati in sospeso: organizzano numerose requisizioni ai fascisti locali e non ne vogliono sapere di consegnare le armi.

    Rino e quattro uomini del suo gruppo vengono arrestati e scontano 18 mesi di carcere.

    Quando viene rilasciato emigra in Svizzera per lavorare. E' il 25 Aprile 1954 quando Rino arriva nel Canton Vaud, inizialmente a Saint- Prex e poi a Yverdon dove lavorerà per anni nella fabbrica “Paillard”. Lì parteciperà alle Colonie Libere, forme di associazionismo degli italiani che vivono in Svizzera basate sull'antifascimo e continua a svolgere attività politica. In questa fase della vita sviluppa la sua passione per i cavalli. Li addestra, li filma.

    In fabbrica conosce Lina, una mondina emiliana. Si innamorano e si sposano. Insieme organizzano dei corsi di francese per i migranti italiani, attraverso cui diffondono la stampa comunista. Quindi, nel 1963 vengono arrestati ed espulsi dalla Svizzera. Nel 1980 la coppia va a vivere a Valbrembo, ed è qui che le storie si incrociano: Andrea ha 5 anni.

    Il film è narrato in prima persona, dal regista stesso.

 

Aderite al Movimento per il Risorgimento Socialista

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

L’Assemblea del Movimento Risorgimento Socialista del 28 Novembre a Roma all’Auditorium di via Rieti muove i primi passi di un lungo cammino per riportare in Italia e in Europa la politica di Alternativa all’ultraliberismo finanziario per riportare al centro il Lavoro, come valore, e contro le diseguaglianze della Società del XXI Secolo. Nel nostro Paese l’involuzione democratica, a cui si sta assistendo in un clima di quasi totale impotenta, ha molte cause e modalità, ma è indubbio che la crisi della rappresentanza politica del mondo del lavoro, frantumato a diversi livelli, ne sia una delle radici.

 

di Gaetano Colantuono

 

Si verifica un duplice fenomeno combinato: il profondo slittamento semantico del termine “riforme” dagli anni Settanta ad oggi e la progressiva cancellazione delle riforme popolari ottenute durante il ciclo di lotte fra gli anni Sessanta e Settanta. L’approdo di questa tendenza è ora rappresentata dalla profonda revisione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza e dall’attesa espunzione di ogni forza politica di sinistra dai luoghi decisionali (regioni e nuovo Senato, Camera) in virtù della nuova legge elettorale, l’Italikum, e delle altre leggi elettorali regionali. Un ciclo sembra chiudersi, travolgendo idealità, tradizioni, esperienze. Si scorgono appena i vincitori di questa fase.

In questo quadro desolante si colloca anche l’assenza di un partito con una piattaforma socialista. Se si può discutere l’origine della “mutazione antropologica” della cultura politica socialista in Italia, resta incontrovertibile il dato che nessuna delle forze che si autodefiniscono socialiste si pongono in contestazione della cultura politiche dominante – il neoliberismo nelle sue varie forme – ma si pongono tutte all’interno di un perimetro di spartizione di briciole di potere. Lo stesso PSE, divenuto Partito dei Socialisti e Democratici europei, nella sua cogestione a Strasburgo come a Bruxelles con i popolari, in realtà conservatori e liberisti, non contribuisce alla ripresa di un’azione riformista in senso socialista, ossia (nell’accezione codificata in Italia in particolare da Riccardo Lombardi) mediante trasformazioni nella struttura socio-economica a vantaggio dei lavoratori. La parola stessa “riforma” sembra ormai inutilizzabile a causa di un profondo slittamento semantico.

Occorre pertanto ricostruire un movimento socialista di sinistra, contrassegnato in ogni suo aspetto da alcune caratteristiche permanenti.

    ANTILIBERISTA, in quanto pienamente contrario alle politiche liberiste, affinché, insieme ai movimenti di alternativa e di opposizione, le contesti nelle piazze, nei tanti spazi sociali, nei luoghi di cultura e nelle sedi rappresentative, elaborando e coltivando proposte politiche alternative.

    RADICALE nei suoi obiettivi, perché va alla radice delle questioni, rifiutando le opposte tendenze disgregatici della forze organizzate di sinistra, l’estremismo e il moderatismo, così come rifiuta la scollatura fra apparati e base sociale. Facciamo propri tre NO fondamentali: AL RAZZISMO, ALLE GUERRE E AL MILITARISMO, AL NEOLIBERISMO.

    DAL BASSO, in quanto è consapevole delle macerie e delle miserie della sinistra italiana che, anche non metaforicamente, segnano il paesaggio politico e culturale italiano e di cui tanto il precedente quanto l’attuale gruppo dirigente del PD (con i loro partitini-satelliti) portano le principali responsabilità. Da tale consapevolezza deriva la necessità di imparare dagli errori del passato, compreso quello più recente: il rifiuto del potere fine a sé stesso, del politicismo e del governismo con l’alibi dell’assunzione di responsabilità. Ne discende un più ampio coinvolgimento dei soggetti impegnati nei territori con una gestione realmente democratica e trasparente ad ogni livello.

    Comuni punti di riferimento, nei differenti percorsi, sono:

    il richiamo al patrimonio ideale della sinistra socialista italiana, pur nella consapevolezza della sua pluralità, dei suoi limiti e della sua relazione dialettica con altre culture politiche (quella comunista, cristiana, liberale di sinistra, infine quella dei movimenti e dell’ecologismo);

     l’esigenza non più rinviabile di un confronto con il cospicuo patrimonio delle attuali culture e pratiche antiliberiste, espresse prevalentemente dal movimento dei social forum, capaci di rivitalizzare non pochi aspetti della tradizione socialista europea anteriore agli anni Ottanta e di porre questioni centrali dell’agenda politica nazionale e internazionale (nuovo modello di sviluppo, sottrazione dei beni comuni dal mercato, lotta alle disuguaglianze).

    Per fare tutto questo riteniamo di impegnarci nel MOVIMENTO PER IL RISORGIMENTO SOCIALISTA. Ci rivolgiamo a quanti e quante hanno già maturato una forte identità socialista, correttamente intesa, non come alibi per isolarsi ma come punto di partenza per una collaborazione con altre soggettività per obiettivi comuni. Ci rivolgiamo a quanti e quante svolgono un prezioso lavoro sociale nei territori, nell’impegno nei sindacati e movimenti, nelle rinnovate forme di mutualismo e nel volontariato. Ci rivolgiamo al mondo della cultura, affinché contribuisca a promuovere una più feconda riflessione non ideologica o dogmatica né priva di un solido metodo (ossia di un’ideologia in accezione propositiva), ricercando in un rinnovato marxismo metodologico e libertario una delle proprie fonti di ispirazione.

    A tutti e tutte chiediamo di aderire al MOVIMENTO PER IL RISORGIMENTO SOCIALISTA, di collaborare a radicarlo nei territori e nei luoghi del lavoro e delle altre forme di produzione sociale, di contribuire alla creazione di un autonomo Istituto socialista di cultura quale strumento di memoria storica e di elaborazione politica.

    Affidiamo questo appello coscienti che le tradizioni socialiste non possano tramontare in Italia, mentre altrove in Europa e nel mondo esse rinnovano le lotte e le conquiste e mentre nel nostro paese il tasso di disuguaglianza e le crisi prodotte dall’attuale modello di sviluppo capitalistico assumono livelli insostenibili.

  

http://www.risorgimentosocialista.it/

 

martedì 1 dicembre 2015

Una petizione in difesa della Costituzione - Le ragioni del No

LETTERA APERTA AI DEPUTATI ITALIANI

 

Roma, 25 novembre 2015 — Il prof. Alessandro Pace, Presidente del Comitato per il No, ha inviato una lettera ai deputati italiani spiegando le ragioni per opporsi alla controriforma della Costituzione. La lettera, trasformata in petizione, è aperta alla raccolta di firme su questo link. Vi inviatiamo a firmarla.

 

Onorevoli deputati,

 

1. la vasta e complessa riforma costituzionale che vi accingete a votare in quarta lettura, ma pur sempre nell’ambito della prima deliberazione, è una riforma che, in coerenza col nostro sistema di democrazia parlamentare, avrebbe dovuto procedere dall’iniziativa parlamentare, e non dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e dal Ministro per le Riforme Boschi. Il che ha determinato inammissibili interferenze da parte dei medesimi sulla libertà di coscienza dei parlamentari in sede referente e in assemblea; e con modalità di approvazione che se legittime per leggi ordinarie, non lo sono certo per le leggi di revisione costituzionali. Come, ad esempio, l’asserita non emendabilità degli articoli approvati sia da Camera che da Senato, che è bensì un principio valido per le leggi ordinarie (art. 104 reg. Sen.) ma non per le leggi costituzionali.

    Contro l’applicabilità di tale norma vi è, infatti, non solo il precedente della Giunta del regolamento della Camera del 5 maggio 1993 (presidente Napolitano), secondo il quale nel procedimento di revisione costituzionale possono essere introdotti emendamenti anche soppressivi pur quando sul testo si sia formata la “doppia conforme”, ma sussiste l’argomento ulteriore - assorbente e insuperabile - secondo il quale, fino a quando non sia stata definitivamente approvata e promulgata, una modifica non può prevalere sulla Costituzione vigente e sostituirsi ad essa.  

    2. Quella che vi accingete ad approvare in seconda lettura, pur sempre nell’ambito della prima deliberazione, è una revisione costituzionale che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 - dichiarativa dell’incostituzionalità di talune norme del c.d. Porcellum -, non avrebbe dovuto essere nemmeno presentata in questa legislatura.

    La Corte costituzionale, nella citata sentenza (v. il n. 7 del cons. in dir.), ebbe infatti a precisare che, a seguito dell’incostituzionalità di tali norme, le Camere avrebbero potuto continuare ad operare grazie ad un principio implicito - il «principio fondamentale della continuità dello Stato» - però essenzialmente limitato nel tempo, come esemplificato dalla stessa Corte, in quella sentenza, col richiamo alla  prorogatio prevista negli articoli 61 e 77, comma 2, Cost., che prevedono tutt’al più un’efficacia non superiore ai tre mesi!  

    3. Ancora: tale legge di revisione costituzionale è disomogenea nel contenuto, e pertanto contraria all’art. 48 Cost., in quanto costringe l’elettore ad esprimere con un solo voto il suo favore contestualmente a proposito sia delle modifiche alla forma di governo, sia delle modifiche ai rapporti tra Stato e autonomie locali, ancorché egli sia favorevole solo ad una delle due. Ripetendo così l’errore della riforma Berlusconi del 2005, che violava per l’appunto la libertà di voto dell’elettore.

    4. Gravi e svariate sono poi le perplessità che sollevano gli articoli fin qui approvati, molti dei quali - come si dirà nel prosieguo - ridondano addirittura nella violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, come tali non sopprimibili ancorché con legge di revisione costituzionale, sulle quali la Corte, come  esplicitamente affermato nella sent. n. 1146 del 1988 (ripetutamente ribadita), si è esplicitamente riservata di dichiararne l’incostituzionalità ove tempestivamente investita della relativa questione.

    I principi supremi che vengono esplicitamente violati dal d.d.dl. Renzi-Boschi sono, in primo luogo, il principio della sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost. (ritenuto ineliminabile dalle sentenze nn. 18 del 1982, 609 del 1988, 309 del 1999, 390 del 1999 e, da ultimo, dalla sent. n. 1 del 2014, secondo la quale «la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare»). In secondo luogo il principio di eguaglianza e di razionalità di cui all’art. 3 Cost. (sentenze nn. 18 del 1982, 388 del 1991, 62 del 1992 e 15 del 1996).

    4.1. Il principio secondo il quale «la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare») è violato dal “nuovo” art. 57, commi 2 e 5, il quale, con una formulazione criptica indegna di una Costituzione, da un lato, esclude comunque che i senatori-sindaci non vengano  eletti dai cittadini nemmeno in via indiretta, dall’altro prevede che la scelta dei senatori-consiglieri regionali avvenga da parte dei consiglieri regionali, che dovrebbero però conformarsi al risultato delle elezioni regionali. Per cui, delle due l’una: o l’elezione dei senatori-consiglieri si conformerà integralmente al risultato delle elezioni regionali e allora ne costituirà un inutile duplicato oppure se ne distaccherà e allora viola il principio dell’elettività diretta del Senato sancito dall’art. 1 della Costituzione.

    Si badi bene: l’esigenza dell’elettività diretta del Senato non è fine a se stessa, essa consegue da ciò, che, anche a seguito della riforma Renzi-Boschi, il Senato eserciterebbe sia la funzione  legislativa sia la funzione di revisione costituzionale che, per definizione, costituiscono il più alto esercizio della sovranità popolare.

    Di qui l’ineludibilità del voto dei cittadini che, della sovranità popolare, «costituisce il principale strumento di manifestazione».

    Senza poi dimenticare che solo l’elezione popolare diretta consentirebbe di svincolare l’elezione del Senato dalle beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali, come è stato sottolineato, tra gli altri, dal Presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri. Il che, detto più ruvidamente, sta a significare che l’elezione diretta sottrarrebbe, almeno in via di principio, le elezioni dei senatori dal tessuto di scandali che contraddistingue la politica locale italiana.

    4.2. Passando alle violazioni del principio supremo di eguaglianza e razionalità (art. 3), la prima e più evidente consiste nella macroscopica differenza numerica dei deputati rispetto ai senatori, che rende praticamente irrilevante - nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti laici del CSM - la presenza del Senato a fronte della soverchiante rappresentanza della Camera,.

    Sotto un diverso profilo, la competenza dei 100 senatori ad eleggere due giudici costituzionali mentre i 630 deputati ne eleggerebbero solo tre, solleva sia un problema di proporzionalità a svantaggio della Camera, sia un problema di inadeguatezza tecnica dei senatori nella scelta dei giudici costituzionali, che finirebbe per essere effettuata dalle segreterie nazionali dei partiti politici.

    Né si può sottacere che, secondo la riforma Renzi-Boschi, i 95 senatori eletti dai consigli regionali continuerebbero ad esercitare part time la funzione di consigliere regionale o di sindaco, per cui è facile prevedere che eserciterebbero in maniera del tutto insufficiente le funzioni senatoriali. Con un’ulteriore evidente violazione del principio di eguaglianza-razionalità

    4.3. Nel sistema federale tedesco - che alcuni parlamentari erroneamente ritengono di aver introdotto in Italia (sic!) - il Bundesrat, l’equivalente tedesco del nostro Senato (operante però sin dalla Costituzione imperiale del 1870, tranne la parentesi hitleriana), è costituito dalle sole rappresentanze dei singoli Länder che, a seconda dell’importanza del Land, hanno a disposizione da 3 a 6 voti per ogni deliberazione.

    Ebbene, a parte l’ovvia considerazione, anch’essa ignorata, che i cittadini dei singoli Länder eleggono bensì il Governo del Land, me non, indirettamente, il Bundesrat, ciò che deve essere sottolineato è che nel Bundesrat sono presenti i singoli Governi del Länder, con tutto il loro peso politico, nei confronti del Governo federale, derivante dall’elezione popolare.

    Ci si deve allora realisticamente chiedere quale mai forza possa avere il  Senato della Repubblica – privo di effettiva politicità (v. ancora G. Silvestri) -, sia nei confronti dello Stato centrale, sia dei Governatori delle singole Regioni, in quanto composto da soli 100 senatori part time consiglieri o sindaci.

    4.4. Di minore importanza pratica è il problema, che però testimonia la trascuratezza e superficialità del disegno costituzionale del Governo Renzi, della nomina presidenziale dei cinque senatori che durerebbero in carica per sette anni, quanto quindi il Presidente che li ha nominati.

    A parte le perplessità a proposito del “partitino” del Presidente, che verrebbe così costituito, una cosa sono i senatori a vita in un Senato avente finalità generali, altra cosa, assai più discutibile, sono i senatori eletti in un Senato delle autonomie (G. Silvestri, S. Mangiameli).

    Da questo diverso angolo visuale, volendo a tutti i costi mantenere questo  pubblico riconoscimento per chi ha illustrato la Patria, sarebbe allora più logico (rectius, meno illogico) che il riconoscimento avvenisse nell’ambito della Camera dei deputati, in quanto essa sola manterrebbe le funzioni di rappresentanza generale del popolo italiano nell’ambito delle quali i deputati “del Presidente” avrebbero una indubbia funzione culturale da svolgere.

    5. Il vero è che tutti questi apparenti errori e apparenti strafalcioni costituiscono piuttosto dei precisi tasselli che determineranno lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo.

    Grazie all’attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, e, grazie all’Italicum - in conseguenza del quale il partito di maggioranza relativa, anche col 30 per cento dei voti e col 50 per cento degli astenuti, otterrebbe la maggioranza dei seggi - l’asse istituzionale verrà spostato decisamente in favore dell’esecutivo, che diverrebbe a pieno titolo il dominus dell’agenda dei lavori parlamentari, con buona pace della citata sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, secondo la quale la “rappresentatività” non dovrebbe mai essere penalizzata  dalla “governabilità”.

    Il Governo, rectius, il Premier, sarebbe quindi il dominus dell’agenda parlamentare, anche se un qualche problema la darà la cervellotica varietà di ben otto diversi iter legislativi a seconda delle materie (F. Bilancia).

    Il Governo, rectius, il Premier, dominerà pertanto la Camera dei deputati cui non potrà contrapporsi, alla faccia del barone di Montesquieu, alcun potenziale contro-potere: né “esterno” - essendo il Senato ormai ridotto ad una larva - né “interno”, grazie alla mancata esplicita previsione dei diritti delle minoranze (né il diritto di istituire commissioni parlamentari d’inchiesta, né il diritto di ricorrere alla Corte costituzionale contro le leggi approvate dalla maggioranza [M. Manetti]).

    Il riconoscimento dei diritti delle opposizioni, nella Camera dei deputati, viene, dal “nuovo” art. 64, graziosamente demandato esclusivamente ai regolamenti parlamentari, con la conseguenza che sarà il partito avente formalmente la maggioranza parlamentare e, quindi, il Governo, a precisarne i contenuti.

    Con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni, la cartina di tornasole della contrazione delle autonomie territoriale è data dalla previsione della così detta “clausola di supremazia” (art. 117), con riferimento alla quale l’ex Presidente della Consulta,  Gaetano Silvestri, ha osservato nella già citata audizione dinanzi al Senato, che suscita perplessità la previsione di una tale clausola, la quale «ingloba in sé non solo la “tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica” pienamente condivisibile, ma anche la reintroduzione del famigerato “interesse nazionale”, che nella prassi anteriore della riforma del 2001, si era rivelato uno strumento di azzeramento discrezionale dell’autonomia regionale da parte dello Stato (una “clausola vampiro”, secondo la felice espressione di Antonio d’Atena)». 

    Onorevoli deputati, di fronte a questo criticabilissimo quadro normativo, e a maggior ragione discutibilissimo perché pretenderebbe di avere la forza e l’autorità morale della Costituzione della Repubblica italiana, il Comitato per il NO vi chiede di tentare con decisione di modificare l’attuale testo del d.d.l. cost. n. 2613-B; in subordine, di aderire a questo Comitato, e, infine, qualora tale d.d.l. cost. venisse definitivamente approvato, di impegnarvi fin da ora a richiederne la sottoposizione a referendum popolare. Vi chiediamo di mandarci un cenno di conferma di questo impegno.

 

Prof. Alessandro Pace

COMITATO PER IL NO NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE SULLA RIFORMA RENZI-BOSCHI

 

Consiglio direttivo: Gustavo Zagrebelsky (Presidente onorario), Alessandro Pace (Presidente), Pietro Adami, Alberto Asor Rosa, Gaetano Azzariti, Francesco Baicchi, Vittorio Bardi, Mauro Beschi, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Sergio Caserta, Claudio De Fiores, Riccardo De Vito, Carlo Di Marco, Giulio Ercolessi, Anna Falcone, Antonello Falomi, Gianni Ferrara, Tommaso Fulfaro, Domenico Gallo, Alfonso Gianni, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Paolo Maddalena, Giovanni Palombarini, Vincenzo Palumbo, Francesco Pardi, Livio Pepino, Antonio Pileggi, Marta Pirozzi, Ugo Giuseppe Rescigno, Stefano Rodotà, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Cesare Salvi, Mauro Sentimenti, Enrico Solito, Armando Spataro, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Mauro Volpi.