LETTERA Gli sviluppi dello scenario politico di quest'ultimo anno sono ambivalenti: una nuova stagione, anche in contesti difficili (come Napoli), pare essere emersa a livello amministrativo, corroborata dalla poderosa quadruplice affermazione referendaria e dal parziale rilancio del movimento antiliberista (quello dei social forum) che a Genova si è ritrovato per ricordare il decennale della contestazione al summit dei G8 e della brutale repressione, introibo di un nuovo ordine mondiale; la malcerta tenuta numerica dell'attuale maggioranza parlamentare e le tensioni finanziarie stanno producendo ricorrenti manovre finanziarie, infruttuose quanto dannose e "di classe" per la loro iniquità sociale e i loro effetti recessivi. Resta la grave anomalia dell'espulsione di ogni forza di sinistra dal Parlamento: ciò ci priva, sia ricordato agli sbadati e ai qualunquisti, anche della possibilità di avere un'interrogazione parlamentare, di avere una tribuna da cui far sentire la propria voce al paese, di dare rappresentanza a settori sociali non scomparsi al posto delle rappresentazioni ammansiteci in questi anni di bipolarismo, maggioritario e porcellum. Una tipica stagione di transizione, in cui cose vecchie e nuove, istanze contrastanti convivono e si confondono, confondendoci, in cui vari sbocchi sono possibili. Anomalia nell'anomalia è che in Italia manchi un partito che dia rappresentanza alle classi sociali più colpite dalla crisi (precari e migranti, in primis, ma anche lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, tanto privati quanto statali); che riprenda quei ricchi e forti contenuti che sono il patrimonio di questi ultimi dieci anni di movimenti (per arrivare al processo costituente dei beni comuni) da non dissipare in alcun modo; che sappia, o almeno ci provi, impedire i tentativi di obliterazione della sinistra italiana. A questo partito volentieri ed ostinatamente (ma non senza ragione) continueremo a dare la denominazione di socialista. In realtà, per converso esisterebbero pure partitini e movimenti sedicenti socialisti: gli uni contro gli altri armati, tutti nondimeno sotto il segno accomunante del moderatismo e della lontananza, se non antagonismo, rispetto ai movimenti e ai contenuti di cui sopra. Di area centro-sinistra ovvero inseriti stabilmente nella "corte dei miracoli" che è l'attuale compagine governativa, questi partitini e movimenti sedicenti socialisti si inseriscono con un'ostinazione speculare a quella predetta nella più vasta corrente, che era tempesta, denominata neoliberismo. Arfé ci ha insegnato, in uno dei suoi ultimi scritti, che storia alla mano Non possiamo dirci riformisti; altri studiosi e attivisti ci hanno spiegato che sono esistiti due riformismi fra loro distinti e anzi incompatibili ed antitetici l'uno a favore delle classi lavoratrici, l'altro a favore delle rendite e dei potentati economico-finanziari. Il primo di questi, sconfitto e quasi annichilito, ha avuto in Lombardi il proprio alfiere; alcuni presunti allievi di Lombardi vorrebbero farsi promotori del secondo. Benché questa tendenza non sia una specificità italica, poiché nei vari paesi europei maggiormente coinvolti nella bufera dei mercati finanziari le misure anti-popolari e di cessione della sovranità popolare a nuovi istituti non elettivi né democratici (BCE e organismi del declinante "Washington consensus": FMI, BM, WTO) sono state varate da governi "socialisti" Grecia, Spagna, in passato Portogallo; inoltre giova ricordare che, del tutto inopinatamente!, il principale candidato "socialista" alle elezioni presidenziali in Francia era il direttore del FMI (ossia uno dei Nemici) finché un grave scandalo sessuale non ha rimandato il PS a più caute ed adeguate scelte. Molto ci sarebbe da aggiungere: genealogie, figure e sviluppi di questa metamorfosi. Così com'è un partito socialista, vieppiù "e dei democratici", europeo serve solo per il progresso dei diritti civili, quelli sociali essendo rinviati a tempi migliori gentilmente concessi dai potentati economico-finanziati. Niente di più, niente di meno. Certo esistono alcune specificità italiche. Una solo conviene enunciarla. È notizia di questi giorni (primi di settembre 2011) che è nuovamente sotto i riflettori mediatici tale Lavitola Valter, faccendiere per conto dell'attuale premier e contumace per ragioni giudiziarie da appurare (per quanto le intercettazioni siano alquanto eloquenti di un certo savoir faire). Le vicende in cui tali figuri sarebbero coinvolti ci parlano chiaramente della condizione di un paese, l'Italia, malmesso, ma rischiano di farci dimenticare una cosetta per noi importante: quel tale è proprietario e redattore de L'Avanti (il fatto che manchi il punto esclamativo non rende più lieve il fatto, perbacco!). Ora che partitini, movimenti, politici e ministri sedicenti socialisti possano far parte dello schieramento delle destre e varare misure contro le classi lavoratrici rientra nel rischio insito nell'esercizio del "libero arbitrio"; che Zapatero e Papandreu et ceteri simillimi "per alto senso di responsabilità" possano e vogliano trasformare i propri stati in protettorati di banche e agenzie di rating (a differenza dei "populisti" governi di Argentina e Bolivia) è il risultato di lunghi processi cui il movimento di Genova, novella Cassandra, aveva dato nomi e cognomi e in ogni caso si attendono gli esiti delle rivolte sociali provocate sotto il segno dell'indignazione. A noi, più modestamente, spetterebbe il compito in sé non impossibile di "riprenderci" l' Avanti! quando verosimilmente il suo non lodevole proprietario se ne libererà. Serviranno soldi ma ancor più un comitato di garanti che prepari la restituzione della testata alla sinistra italiana per farne un luogo di informazione, analisi, dibattito e cultura politica. In fondo si tratta di pensare a l' Avanti! che faccia quotidianamente e a stampa quel che L'Avvenire dei lavoratori fa periodicamente e on-line. Da lì si può, a mio avviso, ripartire. Gli interessati facciano sapere e si mobilitino. L'intendance suivra. Ne vale la pena.
Gaetano Colantuono, docente precario e storico (coautore di I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata ) |