mercoledì 30 novembre 2016

UN "NO" ARGOMENTATO

APPELLO DEGLI AVVOCATI MILANESI

Ricordiamo che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Il prossimo referendum sulla revisione costituzionale riguarda una ma­teria tecnicamente assai complessa, sia per l’eterogeneità e l’am­piez­za delle modifiche intervenute, sia per la difficoltà di cogliere tutte le im­plicazioni che ne potranno derivare.

    Come avvocati sentiamo il dovere di esprimerci, mettendo le nostre competenze giuridiche e la nostra esperienza professionale a di­spo­si­zio­ne dei cittadini per aiutarli a compiere una scelta con­sa­pe­vo­le.

 

Anzitutto occorre osservare che la scelta di adottare una così vasta re­vi­sione costituzionale e una nuova legge elettorale con la sola forza contingente della maggioranza di governo (peraltro artificiosa) costi­tui­sce un grave limite genetico perché lascia presagire che, nel prossimo futuro, a ogni cambio di equilibrio politico potrà corrispondere una nuo­va modifica della Carta fondamentale e una nuova legge elettorale su misura dei vincitori. Una simile spirale di riforme e controriforme fa­­rebbe venire meno la concezione della materia istituzionale come ter­reno di valori condivisi, minando le basi della nostra convivenza demo­cratica.

    In secondo luogo, balza agli occhi dell’interprete la pessima qualità redazionale dell’intervento di revisione, che introduce nella nostra Car­ta fondamentale norme farraginose, illeggibili per il cittadino medio, spes­so contraddittorie o ambivalenti; insomma, la forma – che in que­sta materia è anche sostanza – appare lontanissima da quella tipica del­le norme co­stituzionali, che dovrebbero essere il più possibile cri­stal­li­ne, sobrie e accessibili a chiunque. Lo stile involuto e l’obiettiva oscu­­­rità di non po­che disposizioni raggiunge livelli tali da legittimare il dub­bio che non si tratti (solo) di limiti qualitativi, bensì di un’am­bi­guità intenzionale per lasciare aperte diverse opzioni applicative e in­terpretative a seconda degli equilibri politici che si potranno deter­mi­na­re in futuro.

    Il principale elemento che rischia di privare l’opinione pubblica di una piena consapevolezza degli effettivi esiti che la revisione oggetto di refe­rendum produrrà nella vita delle istituzioni è dato dalla intera­zio­ne tra la modifica costituzionale vera e propria e la legge elettorale per la Came­ra, detta “Italicum”. Questa, avendo reintrodotto sur­ret­ti­zia­mente i me­de­simi vizi stigmatizzati nella sentenza di incostituzio­na­li­tà della legge pre­ce­den­te (Porcellum), non solo è a sua volta illegit­ti­ma, ma costituisce an­che un oltraggio alla Corte Costituzionale incon­ce­­pibile in uno stato di diritto.

    La revisione costituzionale, eliminando l’elettività del Senato e la­scian­do alla sola Camera dei Deputati il rapporto di fiducia col gover­no, con­sen­ti­reb­be all’Italicum di dispiegare per intero il proprio effetto sulle isti­tu­zio­ni, effetto che sarà quello di produrre una sostanziale mo­di­fica­zione della forma di governo del nostro paese. Infatti, con il bal­lot­taggio tra liste e l’assegnazione di un abnorme premio di mag­gio­ranza al vincitore (un uni­cum a livello mondiale), a prescindere dal­l’ef­fet­tiva rappresenta­tività del corpo elettorale, la legge determinerà di fat­­to l’elezione diretta del pre­sidente del consiglio, l’illimitata com­pres­sione della rappresentanza democratica e la concentrazione nel go­ver­no di tutti i poteri: dal controllo sull’assemblea legislativa alla pos­si­bilità di eleggere gli organi di ga­ran­zia (Presidente della Re­pub­blica, Corte Costituzionale, Csm), dal dominio sulla Rai alla nomina delle varie Authority.

    Questo determinerebbe la fuoriuscita dal modello di democrazia par­lamentare, senza peraltro le garanzie del modello alternativo, quello del­la repubblica presidenziale, che è caratterizzato da rigorosa se­pa­ra­zione dei poteri e forte presenza di pesi e contrappesi.

    Un così radicale e avventuroso cambiamento del nostro assetto isti­tu­­zionale è stato introdotto in modo larvato e con legge ordinaria, ri­ma­nendo perciò formalmente estraneo alla revisione costituzionale og­getto del quesito referendario.

    I cittadini, che in questo modo sono privati della possibilità di espri­me­re il proprio giudizio sulla parte più incisiva del complessivo mu­ta­men­to costituzionale che si vuole realizzare, devono essere resi con­sa­pe­voli della reale posta in gioco perché possano riappropriarsi del dirit­to di deliberare anche su ciò che formalmente non viene loro richiesto.

    Peraltro, quale che sia il giudizio sulla legge elettorale, venendo al merito della revisione costituzionale - e prescindendo in questa sede da aspetti secondari (dai presunti risparmi all’abolizione del Cnel), di ca­rat­­tere essenzialmente propagandistico - basterà concentrare l’at­ten­zione sul tema cruciale del procedimento legislativo.

    Non è affatto certo che la semplificazione e velocizzazione del­l’at­ti­vità legislativa potrà realizzarsi come i sostenitori della revisione pro­met­tono. Infatti, il carattere assai confuso delle competenze e delle mo­dalità di par­tecipazione del futuro Senato al processo legislativo induce a pre­ve­de­re piuttosto una complicazione delle procedure ed una mol­ti­pli­cazione dei conflitti, con conseguenti ricorsi alla Corte Co­sti­tu­zio­na­le. Se poi la mag­gioranza politica del Senato espresso dai consiglieri regionali do­ves­se essere diversa da quella della Camera, è logico aspet­tar­si un siste­ma­tico richiamo di tutte le leggi approvate dalla Camera, con conseguente generalizzazione della “navetta” tra i due rami del parlamento, che oggi è un fenomeno limitato a circa il 3 % delle leggi che vengono varate.

    Ma poniamo, per ipotesi, che la semplificazione promessa venga rea­liz­­za­ta. In tal caso sarebbe necessario chiedersi se, al di là delle fa­ci­li sug­ge­stioni propagandistiche diffuse dalle forze di governo e da al­cu­ne rap­pre­sen­tanze dell’establishment economico, questo corrispon­da vera­mente al­l’in­teresse dei cittadini o non costituisca piuttosto il clas­si­co bisogno indotto.

    Nella realtà, nonostante il bicameralismo perfetto, l’Italia ha già oggi tempi di approvazione delle leggi che sono inferiori alla media degli al­tri stati democratici ed ha prodotto nei decenni una quantità di nuove leg­gi tale da rasentare un record mondiale. Il numero delle leggi in vi­go­re nel nostro paese è da tempo sfuggito al controllo (40000, 100000, 150000?) e questo ha creato incertezza del diritto, milioni di pro­cessi pendenti e condizioni favorevoli alla proliferazione della corruzione.

    Il che è quanto dire che non abbiamo un problema di lentezza nel­l’at­tività legislativa, ma al contrario abbiamo una iper-produzione le­gi­slativa che, oltretutto, si accompagna al progressivo ed allarmante sca­dimento della qualità delle nuove norme che vengono approvate, e che sempre più spesso sono di iniziativa governativa e non parlamentare.

    In questa situazione la prospettiva di un parlamento subalterno al­l’e­secutivo - che oltre a detenere la maggioranza garantita dal premio ne potrà determinare anche l’agenda - costituito in prevalenza di nominati, e ridotto a sfornare a getto continuo nuove leggi a data certa, senza i tem­pi necessari per i dovuti approfondimenti e per la discussione, do­vrebbe suscitare viva inquietudine in qualunque persona minimamente informata.

    Peraltro, la (ancora) minore ponderazione delle leggi e lo slittamento verso una forma di “democrazia immediata” comportano rischi non solo sul piano qualitativo, ma anche di sistema.

    Infatti, determinando una più diretta esposizione sia alle ondate e­mo­­tive dell’opinione pubblica, sia alla pressione dei media spesso pi­lotata dai poteri forti (“lo vogliono i mercati”; “lo vuole l’Europa”…), possono dare luogo facilmente a misure penali squilibrate – ora di di­su­mana severità, ora di esagerato lassismo – e ad improvvisate leggi ci­vi­li del caso singolo. Insomma, l’esatto contrario di quella normazione fat­ta di poche leggi, tecnicamente accurate, organiche e stabili nel tem­po di cui avrebbe davvero bisogno l’Italia per essere più moderna e competitiva.

    Anche la radicale modificazione del sistema delle autonomie e del rapporto Stato - Regioni non è condivisibile perché, allontanandosi bru­sca­mente dal disegno dei Costituenti che era quello di assegnare alle Re­gio­ni un potere di riforma delle stesse leggi dello Stato nelle materie ad esse attribuite dall’art. 117 Cost., determina uno svuotamento di questa autonomia e un ritorno di quasi tutte le competenze al potere centrale.

    La revisione costituzionale porta così a compimento la sconfitta dell’autonomia regionale, trasformando progressivamente le Regioni in enti non più prevalentemente legislativi e di tutela delle autonomie locali, ma in enti di spesa; tutto ovviamente con la complicità di un ceto politico locale più attento alla clientela che alla difesa della funzione costituzionale attribuita alla Regione.

    Questo ritorno al potere invasivo dello Stato centrale, sia politico che burocratico, avviene senza alcun risparmio di spesa, anzi al contra­rio, e con il mantenimento di un ceto politico regionale (Consigli e Giun­te Regionali) titolare soltanto di potere clientelare, in senso lato, os­sia di gestione di grandi flussi di denaro in funzione di vantaggio politico.

    Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che siano di gran lunga prevalenti nella revisione costituzionale gli aspetti negativi. Inoltre riteniamo che nel bilanciamento che siamo chiamati a fare, dovendo approvare o bocciare in blocco una modifica costituzionale variegata, occorra sempre far prevalere un principio di precauzione, ricordando che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Perciò, il nostro consiglio è di votare NO.

 

Inviate la vostra adesione a : avv.bellipaci@studiobellipaci.it

 

Primi firmatari: Avv. Luciano Belli Paci, Avv. Felice Besostri, Prof., Avv. Maria Agostina Cabiddu, Avv. Marco Dal Toso, Avv. Claudio Tani. – Hanno aderito (aggiornamento 8.11.2016): Avv. Velia Addonizio, Avv. Paolo Agnoletto, Avv. Alberto Amariti, Avv. Bruno Amato, Avv. Maria Anghelone, Prof., Avv. Vittorio Angiolini, Avv. Dario Ardizzone, Associazione Giuristi Democratici di Milano, Avv. Elisabetta Balduini, Avv. Enrico Barbagiovanni, Avv. Vincenzo Barone, Avv. Alessandro Bastianello, Avv. Aldo Bissi, Avv. Francesco Bochicchio, Avv. Marco Bove, Avv. Aldo Bozzi, Avv. Alessandro Brambilla Pisoni, Avv. Franz Brunacci, Avv. Riccardo Camano, Avv. Maura Carta, Avv. Alfonso Celeste, Avv. Mario Cerutti, Avv. Angela Chimienti, Avv. Dario Ciarletta, Avv. Riccardo Conte, Avv. Gianluca Corrado, Avv. Candida De Bernardinis Prof., Avv. Francesco Denozza, Avv. Gianalberico De Vecchi, Avv. Gino Di Maro, Avv. Mario Di Martino, Avv. Carmen Di Salvo, Avv. Enrica Domeneghetti, Avv. Rolando Dubini, Avv. Maria Cristina Faranda, Avv. Tecla Faranda, Avv. Paolo Gallo, Avv. Federico Garufi, Prof., Avv. Gustavo Ghidini,  , Avv. Mario Giambelli, Avv. Sabrina Giancola, Avv. Angelo Iannaccone, Avv. Massimiliano Lieto, Avv. Giovanni Marcucci, Avv. Floriana Maris, Avv. Gianluca Maris, Avv. Guido Mastelotto, Avv. Mirko Mazzali, Avv. Alberto Medina, Avv. Simona Merisi, Avv. Bruno Miranda, Avv. Cristina Mordiglia, Avv. Paolo Oddi, Avv. Fernando Palmisano, Avv. Stefano Paltrinieri, Avv. Alessandro Papa, Avv. Simonetta Patanè, Avv. Antonella Pettinato, Avv. Walter Pirracchio, Avv. Filippo Pistone, Avv. Giampaolo Pucci, Avv. Piera Pujatti, Avv. Francesco Rampone, Avv. Vitantonio Ripoli, Avv. Domenico Roccisano, Avv. Ilaria Rozzi, Avv. Elisabetta Rubini, Avv. Giovanni Saccaro, Avv. Danilo Scarlino, Avv. Andrea Siface, Avv. Salvatore Smaldone, Avv. Ernesto Tangari, Avv. Giulio Taticchi Mataloni, Avv. Armando Tempesta, Avv. Cristiana Totis, Avv. Fabio Vaccarezza, Avv. Giuseppe Vella, Avv. Eric Zanotelli, Avv. Paola Zanotti, Avv. Massimo Zarbin.