martedì 28 settembre 2010

Che cosa vuol dire la parola "mobilitarsi"?

Sull'editoriale precedente

Caro direttore, rigorosa, la sequenza delle argomentazioni contenute nel tuo editoriale della scorsa settimana (La parola "mobilitarsi, http://www.avvenirelavoratori.eu/mediawiki/index.php?title=Editoriale) ed efficace il loro culminare in un grido di impegno e di lotta.

    Ma, nel mio caso di iscritto al Pd, orfano assoluto di padrini (un bene in sè, ma nel costume corrente di partito moderno votato all'impotenza) , dedito ad iniziative sociali, nel disinteresse assoluto del partito, quasi "ultimo mohicano" nel rivendicare le mie credenze socialiste, come devo concepire un tipo coerente e realistico di mobilitazione?

    Eppoi dove attingi tante certezze nell' autenticità delle vocazioni socialista di Bersani che vai citando?
    Ho ormai una sperimentazione di queste personalità ex Pci, ex Pds, ex Ds, per giungere alla stessa conclusione di Penelope nei riguardi dei Proci.... "Spero solo nel destino della "Ubris"...

    Ma per quanto tempo ?
    Comunque, io lavoro e lavoro molto, anche se concludo il 5% di quello che è il mio impegno.

Pier Luigi Sorti, Roma



Caro prof. Sorti, ti ringrazio molto della tua lettera, che centra il mio problema, perché la parola "mobilitarsi" riguarda in effetti ciascuno di noi. Personalmente.

    Non ti dirò quindi che la risposta alla domanda stia nei sindacati europei che pure hanno proclamato una giornata di agitazione il 29 settembre. Senza contare la "campagna d'autunno" preannunciata da Bersani nel alla Festa del PD di Torino (http://www.radioradicale.it/scheda/310479/iii-festa-democratica-nazionale-manifestazione-di-chiusura).

    Anche se si tratta di importanti appuntamenti, che vanno sostenuti, non mi pare questo il problema, che focalizza, invece, la necessità di un coinvolgimento personale e diretto.

    Il problema nasce anzitutto dall'esaustione del principio della "rappresentanza politica" che dopo il crollo della prima repubblica è divenuto il luogo di un estremismo trasformista dove il mandato dei cittadini è travolto e distrutto in un noto meccanismo autodistruttivo che Sloterdijk, nella sua analisi della sindrome weimariana, definisce "scatenamento cinico".

    Lo scatenamento cinico, in corso nella nostra "Weimar al rallentatore", ha travolto, tra le tante cose, la laicità dello Stato, il valore del lavoro, l'istruzione pubblica e la ricerca, l'umanità nei riguardi dell'ospite e dello straniero. E s'è persa ogni traccia ormai di quel senso minimo di pudore che è il presupposto prepolitico della polis.

    Qui c'è però un "punto di flesso". Qui, per usare la nota metafora, il pendolo della storia si ferma e inverte il senso di marcia.

    Ma, se l'astro della rappresentanza tramonta insieme al berlusconismo, quale potrà essere, allora, l'altro polo, quello verso cui il pendolo tenderà d’ora in poi? Stiamo per assistere a una nuova irruzione delle masse nell'agone?

    Se così sarà, si tratterrebbe d'interpretare in senso costruttivo il trend, sventando il compiersi della sindrome weimariana.

    Per conseguire questo obiettivo occorre, appunto, "mobilitarsi".
    "Mobilitarsi" vuol dire: dare forma pubblica e visibile al bisogno di partecipazione politica che cova sotto la cenere del disaffezionamento di massa e che rischia altrimenti di esplodere in modo dirompente.

    Dire "mobilitarsi" non investe solo le sorti del berlusconismo (o, specularmente, del veltronismo), ma riflette un'esigenza epocale ben più profonda per la democrazia nel nostro Paese, e non solo in esso.

    Solo una vasta e attiva partecipazione ci può salvare, perché i problemi politici sul tappeto (superfluo qui elencarli) sono troppo grandi, noti e seri per poterne delegare la soluzione. È quindi evidente che, giunti al punto in cui siamo, occorre la manforte della Partecipazione politica. Tutti coloro i quali posseggano ancora il ben dell'intelletto e un po' di buona volontà lo capiscono. Ma restano perplessi, anzi disgustati, dinanzi alle vicende della Rappresentanza.

    Ma, prima o poi, il popolo percepirà la Rappresentanza non semplicemente come un luogo della ripugnanza, ma come il principale fattore di distorsione e “trasformazione” della propria volontà. E allora l’ambiguo incantesimo si romperà. E allora si innescherà un ciclo della partecipazione.

    Quando avverrà tutto questo?
    Non conosco la risposta. Penso che questo processo sia già in corso. E comunque la domanda è esatta, se così posso dire. Ognuno, dovrebbe chiedersi: "Che cosa posso fare io per...?". "Come devo concepire un tipo coerente e realistico di mobilitazione?". Ecc.

    Mobilitarsi presuppone, in via germinale, proprio questo: che un gran numero di persone inizi a porsi domande di questo genere, con molta serietà.

    Ma mobilitarsi significa solo porsi delle domande?
     No, ovviamente. Significa fornire un contributo proprio al futuro comune: indelegabile, indemandabile, insostituibile, sebbene coordinato in un movimento politico più vasto.

Un cordiale saluto
Andrea Ermano