mercoledì 11 maggio 2011

NE' NUCLEARE NE' IDEOLOGIE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo



Affrontare la questione del nucleare con rigidità ideologiche (quale che siano le posizioni) è un errore che impedisce il corretto confronto e la corretta informazione. Stiamo già subendo i danni provocati dagli errori del passato per scelte, basate sulle ideologie capitaliste del massimo sfruttamento o su teorie pseudo ambientaliste, più di natura romantica che scientifica: errare humanum est, perseverare autem diabolicum!
Il problema – per il nucleare, come per gli OGM, il carbone, ecc. - è garantire la tutela delle generazioni future e la massima sicurezza possibile degli uomini di oggi, accettando però il fatto che l'uomo non è perfetto e quindi tutela e sicurezza vanno continuamente verificate, mai date per definitive: non dimentichiamo che, quando parliamo di sicurezza, parliamo di un valore probabilistico e legato alle conoscenze del momento. Di qui la necessità di essere sempre pronti ad aggiornare le proprie convinzioni e certezze, anche cambiando completamente posizione.
Per certo il problema delle scorie è oggi completamente irrisolto non solo in Italia (l'ex Presidente del Cnen, ora Enea, Felice Ippolito, nuclearista convinto, dichiarò in Parlamento che in Italia non esiste un luogo sicuro dove stoccare le scorie nucleari), ma anche negli USA o in Europa dove i rifiuti radioattivi vanno avanti e indietro in treno per finire al punto di partenza. Sia che si tratti di scorie a lunga vita (milioni di anni) o con tempi di decadimento di qualche centinaio di anni.
Se neppure gli USA sono riusciti a risolvere il problema del deposito dopo aver speso milioni di dollari nel tentativo di realizzarlo a Yucca Mountain, forse qualche motivo ci deve ben essere. Sarà il genio italico a risolverlo? Forse quello industrial-mafioso, scaricandole da qualche parte in Africa o in fondo al Tirreno, come è stato già fatto con le scorie tossico-nocive (e forse pure radioattive) delle nostre industrie.
Quanto alla sicurezza delle centrali possiamo discutere a non finire, ma resta il fatto che il rapporto Rasmussen (1975) indicava una probabilità di incidente grave (fusione del nocciolo con contaminazione esterna) ogni milione di anni: Kyshtym, Chernobil, Fukushima, Thre Miles Island… quattro incidenti gravi in sessant'anni! Per non parlare delle piccole perdite di radioattività (130 incidenti denunciati solo in Svizzera tra il 2000 e il 2009): che abbiano qualcosa a che vedere con l'aumento di leucemie infantili rilevate tra i bambini che abitano nel raggio di cinque chilometri dalla centrale di Sellafield (un tempo si chiamava Windscale, gli hanno cambiato nome dopo un gravissimo incidente nucleare) o dalle centrali tedesche (rapporto del Bundesamt für Strahlenschutz, 2008) o da quelle francesi, tante volte denunciate?
Questo per parlare solo di sicurezza, senza entrare nel merito dei costi, degli svantaggi per il territorio, dei tempi di costruzione, degli appalti mafiosi, del rischio sismico, della carenza mondiale di uranio, dei costi e del rischio dello smantellamento delle centrali (100 anni di lavori per demolirle, secondo le previsioni dell'Autorità inglese, per la centrale di Calder Hall).
Vale la pena allora di citare le parole di Richard K. Lester (Direttore del Dipartimento di scienze nucleari dell'Istituto di tecnologia del Massachusetts) riferite alle centrali EPR (European Pressurized Reactor) che si vorrebbero costruire in Italia: "Chi fosse così pazzo da ordinare una centrale di questo tipo non saprebbe né quanto tempo sarebbe necessario per completarla né quali norme di sicurezza usare, né quali prezzi far pagare per l'elettricità prodotta dopo 10 anni, né che fare delle scorie, né quanto affidabile sia l'impianto".
Esattamente quello che sta accadendo in Finlandia o in Francia dove si stanno costruendo le prime due centrali di questo tipo.
Sandro Faleschini - Padova