E' passata quasi inosservata una notizia: che la CEI – la Chiesa Cattolica Italiana - ha stipulato una convenzione con l'ABI -Associazione delle Banche Italiane - per sostenere le famiglie dei lavoratori che diventano disoccupati in questo periodo di crisi economica mondiale.
Requisiti; occorre che siano famiglie "residenti in Italia", "con più di tre figli", "regolarmente sposate" (in Chiesa o anche al Comune?)...
Le famiglie di fatto pur con tre figli, no!
Il meccanismo finanziario sembra essere il seguente:
Con la sua fitta rete di parrocchie, la CEI raccoglierà soldi, in tutto il territorio nazionale, dalla gente comune che vuol acquistare meriti per il paradiso, aprirà dei conti correnti sui quali anche chi non va in parrocchia, può comunque accreditare donazioni. Prevede di raccogliere diversi milioni di euro (una trentina), ma non li distribuirò in carità ai laratori disoccupati. Li metterà in banca (non si sa se percepirà interessi), “a garanzia”.
E le banche, avendo questa garanzia, si impegnano ad erogare alle famiglie che hanno più di tre figli, 500,00 euro al mese per un annetto. Questi soldi saranno in prestito, un mutuo. e andranno restituiti alle banche entro un certo tempo maggiorati di modici interessi. Sembra che, superata o no la disoccupazione, nel tempo prefissato dal contratto di mutuo, le famiglie dovranno restituire alle banche i soldi che hanno ricevuto, e la CEI si riprenderà i soldi dati in garanzia (salvo qualcosa che non verrà restituito, oppure, la banca avrà azione esecutiva per la mancata restituzione?).
Se ho ben capito il meccanismo, OK, i coniugi regolarmente sposati rimasti senza lavoro, che fanno la richiesta di questo prestito, non dovranno fornire alla banca garanzie per la restituzione alla quale si impegnano, perchè la garanzia la dà la CEI (per un mutuo di questo tipo, normalmente la banca chiederebbe la busta paga, ma nella crisi non c'è).
Mi domando: chi va a chiedere questo prestito ad interessi, il marito o la moglie? E se i genitori, pur regolarmente sposati, sono separati e la moglie ha affidati i tre figli, senza che il coniuge, rimasto disoccupato le paghi l'assegno, potrà avere il prestito? (lasciamo perdere i divorziati che non sono più coniugi e continuano ad essere scomunicati, mi sembra: a meno che non siano potenti, e allora sono ricevuti dal Papa in Vaticano con tutti gli onori).
Io non sono capace di fare il calcolo di quanto ci guadagneranno le banche che hanno in garanzia i milioni che Cei raccoglierà e percepiranno gli interessi dei prestiti che famiglie povere vanno a fare: le banche, non sono certo enti di beneficienza.
Forse la CEI vuole insegnarci che non bisogna più fare la carità ai disoccupati: che è umiliante, per loro, ricevere la carità.
Ma se guardiamo al nostro bel governo, invece, la beneficienza, la fa – e come!
Innanzitutto alle banche per le quali ha già stanziato diversi miliardi per sostenere le loro perdite in questa crisi (anche da loro provocata), e consentire loro di erogare mutui alle piccole imprese e alla gente.
Ma ha fatto la carità anche con la “social card”.
Non dobbiamo darci pena se la “social card” per le famiglie bisognose non funzione. Si tratta sostanzialmente di una piccola carità borocratizzatizzata che umilia chi la chiede.
Sosteniamo, invece, anche noi le banche tramite la CEI, visto che è meritorio donare a loro e umiliante ricevere la carità per i disoccuptati.
In ogni caso, chi soffre la crisi si prepari, con un bel corso di formazione sulla burocrazia, per usare la social card del governo (tra INPS e Poste e negozi convenzionati) che è una carità, ma anche per chiedere il “prestito” dalla CEI, fornendo idonea prova (alla banca o alla CEI?) di trovarsi sposato alle condizioni previste dall'etica cristiana e di essere disoccupato, di aver fatto almeno tre figli che possano anche in futuro alimentare i bagni di folla dei potenti.
Giovanna Chiara, Milano