martedì 6 ottobre 2009

Da Messina

 
 

Mentre scrivo scorrono sui televisori di mezzo mondo le immagini del disastro avvenuto in Sicilia. Per me che conosco questo territorio è facile constatare come si tratti dell'ennesima tragedia annunciata, e di cui magari non ci sarà un colpevole con nome e cognome. Come al solito si spara nel mucchio, si gereralizza, ed alla fine le responsabilità diventano penalmente irrilevanti. Ma non è la prima volta e, ci auguriamo di no, forse non sarà nemmeno l'ultima.


Nelle zone di Messina, ma anche in gran parte della Sicilia e della Calabria, la terra è friabile, le frane sono quotidiane dopo un poco di pioggia, ma vi hanno costruito male e dappertutto per sfruttare il turismo residenziale e questi sono i risultati della speculazione, dell'ingordigia, della politica che pensa solo a soddisfare gli appetiti e l'ego di pochi che credono di poter continuare indisturbati a violentare la natura e gli uomini.

    Esistono pochi investimenti per la sicurezza dei cittadini, ma se ne trovano per le grandi opere che servono a finanziare anche la criminalità organizzata, per le missioni militari che aiutano i fabbricatori d'armi a migliorare i loro bilanci.

    A che serve un faraonico ponte in zona ad alto rischio sismico, basta un terremoto tipo Sumatra (quasi l'ottavo grado Richter) per azzerare 6 miliardi di euro, quando poi per andare da Messina a Catania (un'ora di autostrada) bisogna passare... da Palermo (almeno cinque, sei ore!) o prendere un traghetto? A che serve un ponte sullo Stretto se il sistema viario è precario, insicuro? Se interi paesi rimangono isolati dopo la pioggia, se la gente rischia di crepare a ogni lieve scossa perché le elementari norme antisismiche (valide dal Giappone alla California) da noi sono sistematicamente disattese?

     Lo sconforto è dunque grande e la tendenza al pessimismo potrebbe prevalere, osservando anche i comportamenti antietici della nostra classe politica, complice e vittima (a destra come a sinistra, se queste nobili distinzioni d'un tempo oggi hanno ancora una qualche valenza), protagonista dell'italico bordello di cui parlava già il gran padre Dante.

    Poi vedo la folla di Piazza del Popolo che chiede un'informazione diversa, una stampa che non sia condizionata dal potere dominante, e allo sconforto subentra la speranza: che anche i tanti morti di questi giorni non diventino l'occasione per l'ennesima passerella nello squallido spettacolo che tv e giornali ci propinano in continuazione.

    I morti vanno rispettati e non usati demagogicamente per promesse che si manterranno solo se e come ci sarà un ritorno elettorale. È già successo per i terremotati dell'Aquila, doppiamente turlupinati perché i prefabbricati assemblati in questi mesi sono molto costosi (a chi sono stati dati gli appalti per la loro costruzione? C'erano opzioni alternative?) e perché quelle abitazioni sono andate a pochi, mentre migliaia di cittadini non sanno quando potranno rientrare nelle loro case e il centro storico dell'Aquila è ancora invaso dalle macerie. E ciò sia detto senza contare le migliaia di studenti fuori sede che forse dovranno continuare altrove i loro studi.   

    E allora ci lascia bene sperare per il futuro il fatto che migliaia di cittadini (i portatori di diritti e l'elemento fondante della democrazia) vadano in piazza a chiedere di essere informati per poi poter scegliere in piena autonomia.

    Non è vero che non ci sia in Italia la libertà di stampa, ci mancherebbe! Ognuno dice la sua, come e dove crede. Il guaio è che spesso le informazioni critiche nei confronti del potere, del governo, della finanza sono boicottate. E chi osa dire che il re Silvio è nudo si prende insulti a valanga anche se ciò di cui parla corrisponde al vero. Molta è la disinformazione alla Feltri, molte sono le illazioni alla Belpietro, che inchiodano i Boffo e le D'Addario di turno.


prof. Nino Puliatti (Messina)