Addio G7, si riunirà solo su temi di sicurezza internazionale. Il principale vertice economico diventa il G20. Lo hanno deciso i leader dei paesi più ricchi. Allarme disoccupazione: “Continuerà a crescere, servono misure di sostegno”. Poco per l’ambiente
di Paolo Andruccioli e Maurizio Minnucci
Sarà ricordato come “Il Patto di Pittsburgh” quello siglato oggi (25 settembre) nella città americana della Pennsylvania, dove i leader dei 20 paesi più ricchi del mondo si sono riuniti alla ricerca di nuove regole per affrontare la crisi attuale e per evitarne altre in futuro. L’obiettivo dell’accordo, così si legge nella bozza del documento finale, è “la crescita sostenibile, duratura e solida, grazie a misure coordinate la cui applicazione da parte dei singoli paesi del G20 sarà verificata collettivamente”.
Primo passo sarà la trasformazione del G20 in un vero e proprio forum permanente con capi di stato e di governo, dove i tutti paesi che ne fanno parte potranno verificare insieme le misure di sostegno introdotte dai singoli Stati. Al suo fianco verranno attribuiti più ruoli e collaborazione con il Financial Stability Board (Fsb), che dovrà essere allargato anche alle economie dei paesi in via di sviluppo e emergenti. Già entro fine anno i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali avvieranno un processo comune e coordinato di recepimento del framework per la crescita. Riunione che secondo le prime indiscrezioni battute dalle agenzie potrebbe tenersi il 7 e l’8 novembre in Scozia.
Il vertice dei “grandi” conferma che “l’imperativo è combattere il protezionismo” e torna a rilanciare, in tema di commercio internazionale, una conclusione “rapida e ambiziosa” del Doha Round entro il 2010. Insiste sulla necessità di combattere le speculazioni e si dice pronto ad agire su diversi fronti anche per evitare le manipolazioni di mercato e contenere l'eccessiva volatilità dei prezzi. Sul fronte della crisi invita a non abbassare la guardia, confermando le misure di stimolo messe in campo ("prematuro ritirarle"). Alle banche, invece, i 20 di Pittsburgh chiedono di periodo favorire la crescita (nel breve e medio periodo) per poi rafforzare il loro capitale (a lungo termine).
Sul lavoro arriva l’allarme. “La disoccupazione – si legge ancora nella bozza del documento finale – rischia di crescere anche nei paesi in via di ripresa”, per questo bisogna “rilanciare la necessità di misure a sostegno della disoccupazione per favorire la formazione professionale di chi perde il posto e la creazione di nuovo lavoro, soprattutto nelle nuove tecnologie, nell’ ambiente, nell’energia pulita e nelle infrastrutture”. Il presidente di turno del G20, Barack Obama, ha invitato il proprio segretario al lavoro a organizzare, entro il 2010, un meeting internazionale, insieme all’Ocse, proprio per valutare l’evoluzione del mercato del lavoro.
Poco per l’ambiente: l’invito è a ridurre gli sgravi sui combustibili fossili e investire le risorse così risparmiate in energie pulite.
I vertici mondiali – almeno fino al G20 di Londra di sei mesi fa – sono stati sempre delle vetrine bugiarde del potere. Grandi promesse, grandi annunci e poi niente di fatto. Gli equilibri rimanevano intatti, i paesi poveri sempre più poveri, le diseguaglianze nei paesi ricchi immobili, se non in crescita. Anche sul clima e la nostra responsabilità di contemporanei viventi rispetto alle sorti del pianeta le dichiarazioni si sono sprecate, mentre gli oceani e i mari continuavano a riscaldarsi inesorabilmente. Con il G20 di Londra e con quello di Pittsburgh che si è concluso oggi 25 settembre qualcosa è cambiato, anche per merito di Barack Obama. I potenti sembrano più preoccupati e non a caso sono stati usati toni perfino apocalittici, linguaggio che veniva finora confinato ai controvertici. Ma la preoccupazione (ammettendo che sia sincera e non mediatica) non basta. Servono fatti e non parole, anche se le parole a volte possono pesare molto: un conto, infatti, è dirci certe cose al bar, a scuola, al lavoro, nelle riunioni di redazione, altra cosa è sentirle pronunciate dal presidente più potente del mondo davanti agli altri potenti e davanti ai mitici mercati finanziari che guardano alla politica solo per il loro interesse immediato, ovvero fare soldi con i soldi, seppure sotto forma di futures.
Il G20 sostituisce il G7 - La novità è stata annunciata già ieri dal New York Times, che citando funzionari dell’amministrazione di Washington, ha anticipato l’annuncio del presidente Obama: il G20 prenderà permanentemente il posto del G7 come forum per la politica economica. La decisione degli Stati Uniti prima di essere buonista è strategica e non a caso ha creato non pochi problemi con le delegazioni della Francia, della Gran Bretagna e della Germania. Gli Stati Uniti, o meglio la nuova amministrazione americana guidata da Obama, hanno tutto l’interesse ad allargare l’area del consesso dei grandi. Vogliono superare il G7 perché hanno bisogno di fare i conti direttamente con i paesi emergenti. Una mossa che contemporaneamente riduce il potere dell’Europa e in particolare il ruolo dei paesi più forti del vecchio continente. Non è un caso che le opposizioni siano venute proprio dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Gli schieramenti sul G20 sono analoghi a quelli che si sono determinati sul nuovo ruolo che dovrà avere il Fondo Monetario Internazionale nel governo della crisi. Anche in questo caso gli equilibri girano intorno al potere di veto degli Usa e alla riduzione del potere dei paesi europei.
Per anni il principale gruppo per la gestione dell’economia mondiale è stato il G7 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone) a cui si è gradualmente unita la Russia negli anni Novanta durante la presidenza americana di Bill Clinton. Ora si è deciso che il gruppo continuerà a incontrarsi due volte l’anno per discutere di questioni di sicurezza, mentre di economia si occuperà il più ampio G20 che comprende anche paesi come Cina, Brasile e India. E all’interno di questo nuovo assetto strategico lo scontro tra Europa ed Usa si è concentrato sull’immutabilità del ruolo degli Stati Uniti che conserverebbero il diritto di veto. Su questo punto si è notata a Pittsburgh la debolezza dell’Europa che continua a presentarsi divisa agli appuntamenti mondiali più importanti. Anche nel caso della trasformazione del G7 in G20 e della questione relativa del diritto di veto degli americani, l’Europa non ha avuto una posizione comune.
Il tetto ai bonus dei manager bancari - Per quanto riguarda le banche si è deciso che i bonus dei manager bancari dovranno essere collegati ai risultati a lungo termine, da essi conseguiti nello svolgere le proprie mansioni, e non alla loro condotta sul breve periodo, soprattutto se comporta rischi per istituti e clienti. Questo il principio che pare sia stato approvato a Pittsburgh, mentre più in generale gli Stati Uniti hanno spinto per una consistente ricapitalizzazione degli istituti di credito che punti verso un rapporto tra mezzi propri e impieghi attorno al dieci per cento almeno. Gli europei – su questo punto – si sono detti nettamente contrari. Su questo punto si può dire che i paesi europei sono riusciti a trovare una omogeneità maggiore, anche perché il sistema finanziario europeo è comunque molto diverso rispetto a quello statunitense.
La globalizzazione responsabile e il nuovo modello di sviluppo - La tensione sociale è alta, ma le risposte politiche non sembrano all’altezza. Non è stato neppure un caso che a Pittsburgh siano arrivate decine di organizzazioni sociali, guidate dall’Unione per le libertà civili della Pennsylvania, “per dire al G20 che la gente ha bisogno di servizi sociali piuttosto che di piani di salvataggio per le banche o le grosse aziende”, come ha detto Kim Coughlin, portavoce della ‘Carovana del popolo’. Molte le controiniziative, dal “festival per la libertà di espressione” promosso dalla ‘Alliance for Climate Protection’, fondata nel 2006 dall’ex-vice-presidente americano Al Gore, alle iniziative promosse dall’organizzazione ‘Bail out the people movement’ che ha scelto uno dei quartieri più degradati della città, con la maggioranza degli abitanti afro-americana, per piantare una ‘città di tende’ che ospita disoccupati e senza-tetto, portati ad esempio delle conseguenze del capitalismo sfrenato.
Ma i poveri, si sa, non sono alla moda e ci tocca ricordare il fantasma che continua ad aggirarsi per il mondo, e che ha svolazzato anche su Pittsburgh: la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie su cui per anni c’è stato un vero e proprio ostracismo. La Tobin Tax tassa con una aliquota bassa, meno dell’1 %, tutte le transazioni finanziarie internazionali con lo scopo di conoscere, controllare e tassare in modo tale da scoraggiare i movimenti finanziari più speculativi. Da questa tassazione verrebbero risorse nuove che potrebbero essere usate per aiutare le aree più povere del pianeta senza pesare sulle finanze pubbliche.
Se vogliamo azzardare quindi un primo commento sintetico di questo vertice possiamo dire che non si è trattato come altre volte di una semplice vetrina. Le preoccupazioni e le tensioni sociali spingono la politica a trovare una via d’uscita. Ma le medicine sono ancora molto leggere e le divisioni tra i “medici” sono evidenti. Più che un governo mondiale si tratta di una sorta di assalto alla diligenza allargato. E poi c’è anche una constatazione amara da fare: la crisi finanziaria sembra lontana e l’urgenza di cambiare il sistema sembra messa nell’angolo. Tutti sono d’accordo nel dire che questa crisi non è stata affatto superata e che comunque la ripresa (quando arriverà) sarà “jobless recovery”, ovvero che non porterà con sé nuova occupazione. I premi Nobel (come A.Sen) si lamentano che non sarà possibile una vera ripresa senza in poveri dei paesi poveri e denunciano il fatto che degli aiuti internazionali che erano stati già decisi nei vertici precedenti è arrivata. (Rassegna it)