lunedì 27 dicembre 2010

La terza via del socialismo

Nel suo intervento del 3 dicembre a Varsavia al consiglio Pse, Massimo D'Alema, in qualità di presidente della Feps, ha svolto una relazione politica improntata sull'odierna crisi della socialdemocrazia "tradizionale", così come non solo in Europa. Il giudizio finale complessivo è stato piuttosto netto: "se le parole hanno significato e valore, la socialdemocrazia tradizionale (…) da sola non è più sufficiente".

Ma se le parole hanno significato e valore, è per l'appunto con queste che bisogna fare i conti; e allora il discorso, è facile intuirlo, è in realtà molto ma molto più complesso di quanto possa semplicemente apparire; al punto che due paginette dattiloscritte appaiono senz'altro insufficienti, ma pur sempre possono servire a dare un'idea di dove s'intenda andare a parare. Il nuovo progetto "progressista" del socialismo europeo dovrebbe, secondo il giudizio di D'Alema, poggiare su tre pilastri: "democrazia, uguaglianza e innovazione". Sì che, c'è da chiedersi cosa dovrebbe rappresentare il nuovo rispetto alla cultura tipica della socialdemocrazia definita tradizionale.

A ben vedere, il concetto di "democrazia" rappresenta in effetti il vero e proprio caposaldo di una nuova "ideologia", secondo la parola in voga nel secolo scorso, servita per quasi due secoli a caratterizzare i diversi schieramenti politici tra loro diversamente contrapposti. In proposito, del tutto significativo è il dibattito ancora recente svolto in ambito internazionale circa la legittimità o soltanto l'opportunità di esportare la democrazia nei paesi che ne risulterebbero ancora privi.

Il principio democratico, nelle sue varie articolazioni, fonda il diritto della maggioranza a governare una collettività in confronto all'azione svolta dalla minoranza, in un sistema di articolazione del potere più o meno ramificato e quindi in un'ottica bipolare formata nell'ambito di ciascun polo da una o più parti politiche.

In principio di intervento, D'Alema dice che "nei sistemi bipolari l'alternanza è fisiologica" e che "la crisi (della socialdemocrazia) ha portato alla luce la questione della rilevanza dei nostri valori: siamo stati sconfitti perché, sulla scia della Terza via, li abbiamo abbandonati".

Ora, mi permetto di dubitare: quale alternanza ha visto mai l'occidente prima della caduta dei due blocchi di potere americano e sovietico? In secondo luogo: non è stato forse proprio grazie alla scelta della Terza via che, nel corso degli anni novanta, e ancora oltre, è stato possibile ad alcuni schieramenti di centro-sinistra governare le maggioranze all'interno di molti paesi, e non solo europei?

E ancora: se bene comprendiamo la scelta della Terza via tra il neoliberismo della destra e le politiche assistenziali della vecchia sinistra, cosa rappresenterebbe di diverso, almeno sul piano nominalistico, il futuro del nuovo progetto, se non per l'appunto una diversa via tra la socialdemocrazia "tradizionale" e il neo liberismo delle forze conservatrici; e quindi, direi ancora, sostanzialmente una Terza via?

Certo, sarebbe contraddittorio pensare che si è detto male della Terza via per dire poi