giovedì 19 marzo 2009

Cooperazione sociale e il reinserimento lavorativo


Nei giorni scorsi Paola Menetti, responsabile nazionale di Legacoopsociali, ha sottoscritto, assieme ad una vera moltitudine di organizzazioni, associazioni, sindacati di rilievo nazionale, il documento (ormai molto diffuso) “A Trieste senza Dogmi né pregiudizi, per uno spazio di libero confronto sui temi centrali della politica delle droghe”. E’ dunque indispensabile iniziare con un seppur sintetico richiamo (rinviando il giusto approfondimento alla lettura e alla discussione approfondita di quel testo) ai temi là sottolineati e che rischiano di rimanere ignorati sui tavoli “Ufficiali” di confronto sulle politiche per le tossicodipendenze nel nostro paese:

    ·        L’innovazione degli interventi
    ·        Controllo versus prevenzione
    ·        La riduzione del danno nel sistema dei servizi
    ·        La valutazione della legge
    ·        La scienza e la politica
    ·        La collocazione europea dell’Italia

In particolare ci preme riferirci alle parole “esperienza applicativa” contenute nel DPR 309 che istituisce (tra l’altro) anche la Conferenza Nazionale Governativa con cadenza triennale, per farle indossare comodamente alle esperienze territoriali, di accoglienza, di reinserimento lavorativo, di condivisione, di ascolto, di progettazione e di investimento nei territori del Friuli Venezia Giulia (e italiani in genere) da parte della Cooperazione sociale dentro il tema delle politiche, ma soprattutto delle buone pratiche, verso cittadini sofferenti di dipendenza.

    Esperienza applicativa che trovò molto spazio nell’ormai sideralmente lontano 2000 a Genova (data dell’ultima Conferenza Governativa degna di questo nome) sotto la guida di un ministro, Livia Turco, che allora non pareva particolarmente illuminato sul tema, pur animata da grande volontà e senso civile, ma che oggi ci sembra un gigante al confronto della povertà di risorse, personaggi e soprattutto di idee messe in campo dai più recenti governi.

    Esperienza applicata che vuole nettamente discostarsi, nel 2000 e ancora di più oggi, nonostante siano trascorsi ben 9 anni, dallo stereotipo: privato/Cooperazione sociale uguale comunità terapeutiche (anzi DI RECUPERO, termine oscuro sul quale oggi si insiste molto).

    Anzi, la Cooperazione sociale, nella nostra regione, come in campo nazionale, vuole segnalarsi come attore privilegiato (privilegiato in quanto vicinissimo agli utenti dei servizi, compenetrato saldamente nel territorio, non certo come erogatore principale di risorse) delle azioni individualizzate, rispettose della persona e della sua storia e non dell’omologazione del disagio attraverso la cassa comune della diagnosi.

    In molti casi le azioni di Informazione, sensibilizzazione, prevenzione (Universale, Selettiva, Indicata) riabilitazione (Coop B) vengono messe in campo dal privato sociale (oltre che in ambito territoriale) ad integrazione o in sostituzione del personale dei Servizi Pubblici. Questo aspetto non viene considerato con compiacimento, ma con vera preoccupazione ed allarme per la progressiva diminuzione delle risorse umane e materiali a disposizione dei Dipartimenti delle Aziende Sanitarie; mentre l’utenza è in aumento (ad esempio dal 2001 al 2007 in FVG si è passati da 2929 utenti alcol dipendenti a 4724). Spesso Servizi Pubblici e privato sociale non riescono nemmeno a rispondere agli obiettivi previsti dalle leggi stesse (non solo 309/90 ma anche  125/2001 e Piano Nazionale Alcol e Salute del 2007), che stabiliscono una moltitudine di azioni, senza adeguate coperture economiche, le quali vengono talvolta sostituite con interventi di portata nazionale, ma dai costi altissimi.

    I progetti realizzati nella nostra regione dal privato sociale rappresentano, a nostro avviso, buone prassi e hanno elevati contenuti innovativi e di eccellenza come i centri di accoglienza a bassa soglia, i drop-in, i servizi di assistenza domiciliare per soggetti affetti da gravi malattie correlate alla dipendenza, terapia familiare, comunità madre-bambino, interventi di riduzione del danno e dei rischi.

    La Cooperazione sociale si presenta, dunque, assieme alle altre realtà del privato sociale, strettamente legata al partenariato con le Aziende Sanitarie, gli Ambiti ed i Comuni come moltiplicatore di risposte (infinitamente molteplici, come molteplici sono i cittadini sofferenti e le loro famiglie) imprescindibilmente parti dei contesti territoriali di appartenenza reciproca e non deportatore di intere categorie del disagio nei luoghi preposti alla “cura”, probabilmente lontani e separati centinaia di km. Ciò è fondamentale ribadire perché, oggi, la diversità e la diversificazione progressiva di risposte a problemi e istanze diversi e differenziati, a sempre maggiore garanzia del diritto e del rispetto delle esigenze di ciascuno, sono invece sempre più ridotte e semplificate, svuotate progressivamente di risorse e di significato culturale.

    Non possiamo non rimarcare ciò che chiaramente leggiamo ogni giorno nel nostro lavoro di cooperatori sociali: esiste una profonda contraddizione tra una società ogni giorno più ricca di differenze, di originalità contro una riduzione costante di linguaggi, percorsi, progetti, risposte alle sofferenze della società stessa.

    E perché no? C’è anche da affrontare il tema, oggi molto contraddittorio se non addirittura ancora più dirompente in tempi di controllo-repressione-recupero, di un provato sociale che immagina (come originariamente progettato nel lontano 1973 da Franco Basaglia in persona e strenuamente portato avanti, a Trieste, da Franco Rotelli) di restituire poteri  (per quanto limitati ed effimeri essi possano oggi sembrare) ai matti, ai drogati, ai disabili, agli emarginati attraverso lo strumento più semplice e diretto, al contrario della politica, IL LAVORO.

Per Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia
Sergio Serra e Marco Giordani